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La reliquia del santuario delle Sette chiesette di Monselice

Durante il convegno “Tra monti sacri, sacri monti e santuari: il caso veneto” che si è svolto a Monselice 1-2 aprile 2005, monsignor Peloso ha presentato la reliquia del Santuario di Monselice: una testimonianza unica e rara che completa il disegno dei Duodo. Presentiamo la descrizione fatta dalla dott. Giovanna Baldissin Molli contenuta negli atti del convegno, qui disponibili in PDF [ Clicca qui ].

Il reliquiario è un manufatto costituito in due tempi, di notevolissimo rilievo storico in relazione al santuario delle sette chiesette di Monselice. Dentro la nicchia circolare a vista, ripartita in sette settori, uno centrale circolare, con la reliquia della Croce, e gli altri sei disposti intorno. Nei sei settori altrettanti cartigli dichiarano la natura della reliquia: S. Sebastiani martyris; de lacte et veste Beatae Mariae Virginis; S. Johannis Baptistae; S. Petri apostoli; S. Pauli apostoli; S. Laurentii martyris.
Grazie alla scritta siamo in grado di contestualizzare l’occasione dell’esecuzione del reliquiario e di individuarne la provenienza. È ben noto difatti che l’autorevole Pietro Duodo fu in missione diplomatica presso la Santa Sede in anni molto difficili per la Serenissima, colpita dall’interdetto papale. Pietro era figlio di Francesco, che insieme al fratello Domenico, alla fine del Cinquecento, aveva affidato a Vincenzo Scamozzi la costruzione della villa e dell’oratorio sul versante sud del colle di Monselice. Pietro Duodo ottenne con il breve papale del 12 novembre 1605 non solo un gruppo di venerande reliquie, ma anche, e soprattutto, il privilegio delle stesse indulgenze lucrate dai pellegrini che a Roma sostavano nelle sette basiliche: era questa un’ antica pratica devota, che alla fine del Cinquecento aveva conosciuto un nuovo e forte impulso per opera di San Filippo Neri e dei Padri Filippini. Nel documento papale si dice che cappelle sono erette, o da erigersi, sicché il dono delle reliquie sembra accompagnarsi  all’iniziativa di Pietro Duodo. Ora il nostro reliquiario adombra, nella piccola e ricercata formulazione, questa storia che nella sua versione ‘architettonica’ ha segnato tanto inconfondibilmente il fianco del paesaggio collinare monselicense.

I sette fragmenta del reliquiario, infatti, sono quelli dei santi titolari delle sette basiliche romane, e dunque le particole della Santa Croce (basilica di Santa Croce in Gerusalemme), del latte e della veste della Vergine (basilica di Santa Maria Maggiore), di San Paolo Apostolo (basilica di San Paolo fuori le mura), di San Lorenzo (basilica di San Lorenzo fuori le mura), di San Sebastiano (basilica di San Sebastiano), di San Giovanni (basilica di San Giovanni in Laterano) e di San Pietro (basilica di San Pietro in Vaticano) certificano con tutta evidenza la volontà e le intenzioni di Pietro Duodo: il dono delle reliquie è a monte della costruzione – nuovamente da parte di Scamozzi, ma con alterazioni successive, forse dovute al padovano Vincenzo Dotto – delle sei cappelline lungo il percorso che porta alla villa e all’oratorio, già dedicato a San Giorgio e cointitolato alla Madonna di Loreto (1615), forse per ricordare la battaglia di Lepanto (1576), dove si era distinto il figlio di Pietro, Francesco Duodo: la vittoria in quel conflitto era stata legata a un intervento provvidenziale della Madonna lauretana.
Va tuttavia riconosciuto che nella forma attuale il reliquiario è frutto di un rimaneggiamento, in quanto la teca e il sostegno sono diversi come materiale e come lavorazione; il piede e il fusto, poi, mettono insieme un decoro nastriforme e fogliato, di ascendenza seicentesca, con particolari di gusto classicista-architettonico marcatamente ottocenteschi, come le foglie d’acanto del nodo o i rocchetti sovrapposti. Diverso è il discorso della teca, per la quale ci si può legittimamente interrogare sulla provenienza romana o veneta. Non sappiamo cioè se papa Paolo V abbia regalato a Duodo la teca o solo le reliquie, successivamente inserite nella teca. Essa non è, a mio modo di vedere, di caratteristiche formali spiccatamente orientate: tuttavia la presenza della data 1606, posteriore di almeno qualche mese alla lettera papale, potrebbe far pensare ad un’esecuzione veneta, ordinata da Duodo al suo rientro da Roma. Ci si aspetterebbe difatti, se la teca fosse di provenienza vaticana, una forma più magniloquente e aulica, come è in genere l’arte della corte papale.  [GIOVANNA BALDISSIN MOLLI]

 

Bottega veneta (?) dell’inizio del secolo XVII (teca); bottega veneta del secolo XIX (piede e stelo).
Metallo dorato (piede e stelo), argento dorato, sbalzato, cesellato, inciso e fuso (teca). h cm 33,5 diam. teca cm 17,5. Iscrizioni: DE LIGNO S. CRUCIS sul recto, al centro della teca. SS [SANCTISSIMAE] C[RUCIS] FRAG[MENTA] A P[AULO] V P[ONTIFICE] M[AXIMO] PETRO DUODO EQUITI IN EIUS PRO SER[VITIO] V[ENETAE] R[EI] P[UBLICAE] LEGATIONE TRADITA FUERE A[NNO] MDCVI sul verso della teca;
Sopra l’iscrizione: stemma del papa Paolo V, Camillo Borghese (1605-1621), sormontato dalla tiara papale con le chiavi decussate; sotto la scritta: stemma Duodo.
Testo completo del saggio della prof. Giovanna Baldissin Molli – pubblicato nella collana Carrubio, n.6 curata dal prof. Antonio Rigon – clicca di seguito  Baldissin – Montisacri veneti

 


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