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Antica chiesa del Carmine a Monselice

Antica chiesa del Carmine di Monselice

Antica chiesa del Carmine di Monselice

La chiesa del Carmine, dai rinvenimenti fatti nel corso del restauro, può senz’altro considerarsi un monumento di indubbio valore. La precisa collocazione all’esterno delle mura in vicinanza del porto sul canale Bisatto e lungo l’antica strada che proveniva da Arquà, ne fa una tessera preziosa del mosaico storico monselicense.  La chiesa dei Carmini, a detta degli esperti avrebbe subìto ben tre ricostruzioni, confermate anche delle notizie riportate dal Salomonico. La prima data è quella del 1424, anno in cui un probabile priore Carmelitano, Benedetto Marocco, avrebbe fatto costruire un oratorio dedicato alla natività di Maria. Di dimensioni circa la metà dell’attuale, l’antico oratorio aveva il campanile sulla sinistra in direzione opposta ma simmetrica a quella attuale. Sono state fatte anche ipotesi, che la posizione del tempio non fosse come l’attuale.

Sempre nel XV secolo e precisamente verso la fine, gli storici locali parlano della chiesa di S. Maria del Pilastro, con annesso convento, officiata dai Carmelitani. Questa chiesa, della quale si sono perdute le tracce e identificata con la chiesa del Carmine, doveva sorgere alle falde del Monte Ricco verso mezzogiorno, ed era chiamata così per un pilastro collocato nel mezzo dell’aula sacra e sul quale era dipinta un’immagine miracolosa della Vergine. Celso Carturan afferma che il dipinto conservato fino al 1700, venne sostituito nel 1880 da uno di Pietro Bonatti, copia fedele. Anche per quest’ ultimo però, c’è chi è disposto a contestarne l’autenticità, asserendo essere una ulteriore copia. Da altri documenti è comunque possibile ricostruire la storia dell’antica chiesa; si parla per esempio di una riconsacrazione avvenuta nel 1594 da parte del Vescovo di Adria, sotto il priore Pietro Pesalava. Il tempio era di dimensioni invariate rispetto al ‘400 anche se il campanile venne ricostruito nella posizione in cui si trova l’attuale. L’interno era affrescato, con cappelle laterali. Da tracce emerse recentemente, si pensa che in quell’epoca la chiesetta si trovasse coinvolta in drammatiche vicende ed incendi. Il 1781 fu invece l’anno della totale riorganizzazione dell’edificio ad opera della famiglia Giacomazzi che l’aveva ereditata dai Catti ai quali era passata con la repressione dei Carmelitani operata da Innocenzo X, come afferma Andrea gloria nel suo volume, “Il territorio padovano illustrato”. Oggi la chiesa si presenta sostanzialmente come allora, anche se, come si è detto, vi è stata l’interposizione di un solaio per adattarla a laboratorio. Cediamo a questo punto la parola conclusiva all’architetto Loris Fontana che così si esprime nella sua relazione sull’avviato restauro. «Essa si presenta con presbiterio coperto da cupola con pennacchi, e diviso dalla navata mediante due colonne. Le pareti sono scompartite da lesene secondo ritmi settecenteschi.

La copertura è in volta leggera. Pure il prospetto è scompartito da lesene con zoccolo sorreggenti un timpano». Una storia complessa, quella del Carmine, e non del tutto chiara. Rimangono purtroppo zone d’ombra, nel corso dei secoli, che senz’altro una ricerca più approfondita dovrà portare in luce. La facciata presenta tre statue: la Madonna del Carmelo, S. Teresa d’Avila, S. Maddalena Maria de Pazzi. All’interno sarà inoltre possibile ammirare un affresco risalente, con molta probabilità, al XVII secolo, di scuola manieristica veneta. L’affresco è apparso demolendo un diaframma di muro, risalente al ‘700-‘800 ed eretto nel corso di una ristrutturazione.

Scuola veneta del 700 – Angeli in paradiso. Antica chiesa del Carmine
Lunetta destra
Scuola veneta del 700 – Angeli in paradiso. Antica chiesa del Carmine

Questa chiesa fu l’ultima ad essere dismessa. Tutto ciò che poteva servire fu dato alla nuova parrocchiale di Via Valli, all’interno vi erano anche delle lapidi infisse nei muri che furono lasciate in sito. C’era anche la statua di San Giovanni Nepomuceno che fu donata a Villa Immacolata di Torreglia. All’esterno c’erano tre statue nel timpano che furono donate al Carmelo di via San Biagio. La statua di San Giovanni Nepomuceno era posta su una mensola, ancora oggi infissa nell’ex chiesa, dove è scritto “Dal ponte della pescheria qui trasportata nel 1875”; fu regalata alla Villa Immacolata sia per fare un piccolo omaggio al Vescovo che tante amava quella istituzione, sia per ricordo a mons. Piero Brazzo che era direttore di quell’opera ed era stato cappellano a Monselice per vari anni.

La ex chiesa fu venduta ad un commerciante che ne fece un magazzino su due piani ponendo in opera un solaio tipo “Varese” e forando le pareti per le travi di calcestruzzo. Quando poi i magazzini furono spostati verso la zona industriale, la chiesa dismessa venne posta in vendita. Allora il dott. Aldo Businaro già citato precedentemente, raccolse aiuti finanziari tra enti e amici, la acquistò e poi la donò al Consorzio Colli perché ne facesse un centro culturale. L’Ente provvide al restauro generale, dapprima con l’aiuto della Soprintendenza, poi direttamente, risanando così l’ambiente e preservandolo dall’incuria. In questa occasione furono rimesse le tre statue originali nel timpano, perché le suore del Carmelo che le avevano avute in regalo, pur di ripristinare il vecchio edificio, si accontentarono di avere tre nuove statue, copie pantografate di quelle vecchie.

Antica chiesa del Carmine
Antica chiesa del Carmine
Antica chiesa del Carmine
Antica chiesa del Carmine

L’antica sagra del Carmine

La Chiesa del Carmine, fino ad una ventina di anni fa era una delle più amate e venerate dalla popolazione, soprattutto dai montericani. Ogni anno il 16 luglio , anche chi non frequentava la chiesa per tutto l’anno, era in prima fila alla celebrazione e nell’allestimento della sagra considerata la più bella del nostro territorio. «La festa durava solo un giorno, ma era così grande e intensa che valeva per tanti giorni»; così esordisce Armando Giora detto «Catanio» che per circa 25 anni ha partecipato al comitato organizzatore dei festeggiamenti. Formato da circa una ventina di persone, autentici montericani, il comitato, diviso in coppie, qualche mese prima della sagra andava di casa in casa per la cerca pro Carmine e sconfinava oltre Monselice fino a raggiungere Pernumia e S. Pietro Viminario. Accanto ad Armando Giora, per l’organizzazione dei festeggiamenti si alternarono nel tempo molti altri montericcani come Sostrato Isidoro detto «Capéta»; Guglielmo Mario, Rino e il padre detti «Barbone»; Gallo Ernesto detto «Bedoéta»; «Nanin Barbone»; «Gioanin Marcone»; altri ceppi dei «Barbone» e molti altri montericcani alcuni dei quali scomparsi. «La gente era molto generosa – racconta Armando- e oltre al denaro offriva vino, salami, polli e altri doni in natura da destinare la maggior parte alla lotteria e alla cuccagna. Con i soldi venivano pagate le spese per i festeggiamenti; con il vino si ristoravano i collaboratori e venivano poi consumato nel «ganzega» finale a casa da «Boràso» o da «Montarican», cui partecipavano anche la banda e tutti i parroci della zona.» Terminata la cerca, quando mancavano pochi giorni alla grande festa, i collaboratori iniziavano la preparazione degli addobbi. «Insieme agli altri andavano sul monte in cerca dei rami verdi per costruire gli archi –racconta ancora Armando- Mi ricordo che iniziavano dal ponte di ferro e terminavano all’osteria da Checco, ora dei Dalla Bona: proprio il tragitto percorso dalla processione. Fra i rami venivano applicate delle luci colorate; era un lavoro impegnativo, ma l’entusiasmo era grande: molti di noi rimanevano a casa dal lavoro alcuni giorni proprio per preparare la festa» . Ed ecco finalmente arrivato il grande giorno. Già di buon mattino le porte del Carmine si aprivano per la messa alle filandiere della ditta Trieste. Nel pomeriggio il viale si riempiva, ai lati, di bancarelle.

La chiesa vestita a festa e la facciata addobbata di frutta di stagione: meloni, cocomeri, prugne e la famosa uva della Madonna detta «lujadega», una vera primizia. Ma il momento più solenne era rappresentato dalla processione che partiva dal tempio con l’immagine sacra della Madonna portata a spalla da quattro uomini e si dirigeva verso il Monte Ricco. Nello stesso momento dalla stazione ferroviaria partiva un carro che, percorrendo i binari, faceva esplodere i petardi in esso collocati a decine. Attraversate le sbarre, la processione sostava all’inizio di Via San Vio per la consueta omelia. Si raggiungeva poi l’incrocio fra la «strada bassa» e quella «alta» ritornando poi nella chiesa fra due ali di folla. Conclusa la cerimonia religiosa, la festa continuava oltre la mezzanotte con la cuccagna, la lotteria, la rottura delle pignatte e altri giochi che accaloravano le numerosissime persone giunte da ogni parte. Ai colorati fuochi d’artificio l’onore di chiudere, alla mezzanotte, i festeggiamenti. Una giornata indimenticabile che soprattutto i montericani avrebbero ricordato a lungo. La facciata della chiesa è illuminata con lampade multicolore mentre la folla si snoda verso la stazione ferroviaria e assedia la lunga teoria delle baracche. Nello sfondo il Monte Ricco opaco e silenzioso. Il fanciullo cammina solo, tra due file di baracche; vorrebbe comperare, ad esempio, quella trombetta lunga, argentea, cerchiata d’oro e di rosso. Invece si accontenta di qualche pevarino, una pasta piccante che costa dieci centesimi. E la malinconia lo attira nell’ombra, presso un solitario carrozzone dove due giovani zingare scherzano con un giovane troppo intraprendente. Ma ecco guizzare nel cielo i primi fuochi artificiali. Non tutti arrivano, non tutti scoppiano, non tutti splendono. Uno, più ardito, sale in alto e si frantuma con potentissimo scoppio, quindi si sgrana con altri fuochi sibilanti, scoppiettanti che si cangiano in stelle azzurre e filoni d’oro. Da: Sandra Marin, La chiesa dei Carmini [qui disponibile in formato pdf  [carmine].

Dal Gazzettino ….

Articolo tratto dal ‘Gazzettino’

Articolo dal Mattino del 19 febbraio 2024

Mattino del 19 febbraio 2024

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