Vittorio Cini nacque a Ferrara il 20 febbraio 1885. Iniziò giovanissimo una intensa attività in diversi campi dell’economia , dando vita a grandi organismi finanziari e industriali. Uomo di ardite concezioni e di larghe vedute, ha promosso la creazione e lo sviluppo di importantissime aziende, come la SIDARMA, cui si deve la rinascita della marineria mercantile Veneziana, la Società di Sviluppo Imprese Industriali, il Credito di Venezia e la Compagnia Italiana Grandi Alberghi. La sua vita fu densa di fatti, provata da dure vicissitudini, costellata da incarichi altamente rappresentativi.

Intraprendente e volitivo, sollecitato da idee molto chiare, fu “primo procuratore” della Basilica di San Marco. Nel ’34 Cini, già eminente figura nella scena nazionale, conosciuto ed apprezzato per la sua coerenza morale quanto per il suo acume come uomo d’affari, venne nominato senatore del Regno ed ha conservato il titolo anche a guerra finita. Nel ’40 divenne Conte di Monselice. Poi per un periodo piuttosto breve divenne Ministro delle comunicazioni, ma dovette dimettersi dall’incarico per dissidi di fondo che lo portarono a scontrarsi con Mussolini.
L’episodio ebbe inevitabilmente un seguito: Cini venne deportato in Germania e riuscì a fuggire da un campo di concentramento solo grazie all’intervento coraggioso del figlio Giorgio, il quale in aereo e affrontando enormi rischi, potè portarlo al sicuro in Svizzera. Rientrato in Italia riallaccia i fili spezzati del suo lavoro, della sua esistenza fervida e torna a segnalarsi per il dinamismo e quello spiccato senso degli affari che son stati il segreto dei suoi successi. Nel ’59 ottenne la nomina a Cavaliere del Lavoro. La sua lunga vita familiare, affettiva ha conosciuto momenti durissimi , ma egli ha saputo reagire con fermezza alle prove più dolorose, ricavandone anzi nuova energia e nuova volontà d’azione.
Proprio nel ’59 perse la moglie, la celebre diva del muto Lyda Borelli, la quale, al culmine delle sue fortune artistiche, preferì abbandonare le scene ed essere solo la moglie di Vittorio Cini. Gli ha dato quattro figli, Giorgio, Mynna, Yana e Hilda.
In seguito Cini si è sposato in seconde nozze con Maria Cristina Dal Pozzo D’Annone. Per onorare il figlio Giorgio, tragicamente scomparso in un incidente aereo il 31 agosto 1949, il conte Cini e la sua famiglia costituirono il 21 luglio 1951 la Fondazione Giorgio Cini, con sede a Venezia nell’isola di San Giorgio Maggiore. Con tale fondazione egli si propose di realizzare tre grandi centri di assistenza e cultura: il Centro Marinaro “Sicilia”, dotato di nave scuola ed officine, il Centro Professionale Arti e Mestieri, con scuole ed attrezzati laboratori, il Centro Internazionale d’arte e cultura che organizza manifestazioni di alto valore culturale.
L’accumularsi di esperienze nel campo del restauro (Isola di S. Giorgio, Castello di Monselice, Tempio romano sulla via Appia, Palazzo Ferrarese di Renata di Francia), unito a quell’amore illuminato per le arti che permise a Vittorio Cini di costituire una delle più preziose collezioni private esistenti in Italia, gli valse di essere chiamato a far parte della francese Académie del Beaux Arts, succedendo nel seggio di un’altra grande mecenate nel campo però delle arti musicali, la Regina Elisabetta del Belgio.
Il Conte Cini si spense nella sua casa di Venezia a 93 anni il 18 settembre 1978.
IL CONTE CINI E IL SUO CASTELLO
Agli inizi dell’Ottocento la proprietà del Castello passa ad alcune famiglie nobili locali, e verso la metà del secolo alla famiglia Giraldi. Verso la fine del secolo in parte – per via ereditaria – passa alla famiglia Cini che, interessata maggiormente allo sfruttamento delle cave di trachite, non si cura del Castello abbandonandolo alla sua rovina. Nel corso della Prima Guerra Mondiale il complesso viene requisito dal Regio Esercito italiano, utilizzato per scopi militari e lasciato nel 1919 in uno stato di devastazione. Intorno al 1930 la proprietà passa per via ereditaria al Conte Vittorio Cini, uomo di raffinata cultura, che oltre ad occuparsi del restauro architettonico dell’intero complesso, intraprende un’accurata ricerca d’oggetti di arte applicata (mobili, dipinti, tappeti, arazzi, ceramiche, strumenti musicali e stoffe) e di armi, ricreando all’interno del Castello l’antica atmosfera medievale e rinascimentale che ancor oggi accoglie i visitatori nelle sale residenziali e nella vasta armeria.
Dal 1981 il Castello Cini di Monselice è passato in proprietà alla Regione Veneto, divenendo museo regionale.
Maggiori informazioni: http://www.vittoriocini.it/ ; http://www.cini.it/
Il conte Cini venne incaricato della costruzione del palazzo degli uffici, nel filmato nella parte finale viene citato e lo si vede mentre cammnina assieme al duce (minuti 2.15 e 2,50. Il Cini è quello senza berretto, alto e di bell’aspetto).
Uno dei lavori eseguiti dal Cini nella diga di Sottomarina
Dalla pagina fb del castello di Monselice




VITTORIO CINI nacque a Ferrara il 20 febbraio 1885 da Giorgio ed Eugenia Berti. Completate le scuole secondarie a Venezia, nel 1903 si recò a St. Gallen, in Svizzera, per un soggiorno di studi commerciali presso l’Institut international Schmidt; da lì, l’anno seguente, passò a Londra, per svolgere attività di pratica bancaria. Ritornato in Italia nel 1905, si inserì nell’impresa paterna, che era stata fondata nel 1885. Iniziò così una prima utile esperienza imprenditoriale in un’azienda specializzata in lavori di costruzioni infrastrutturali (stradali, ferroviari, fluviali, marittimi). Salito nel 1910 all’effettiva direzione della ditta, diede vita nello stesso tempo ad una società collegata (Ditta Vittorio Cini, con sede a Chioggia), con cui riuscì ad affermarsi in importanti concorsi e gare d’appalto.
Durante la prima guerra mondiale si arruolò volontario quale ufficiale di cavalleria. Il 19 giugno 1918 sposò l’attrice teatrale e cinematografica Lyda Borelli (dalla quale avrebbe avuto quattro figli: Giorgio nato nel 1918, Mynna nel 1920, le gemelle Yana e Ylda nel 1924). Nel corso del 1918-1919 avviò, una fitta azione di smobilizzi e reinvestimenti, in seguito ai quali modificò completamente gli ambiti di iniziativa, corredandoli con un inscindibile apparato finanziario. Avendo già verificato con le prime esperienze imprenditoriali l’incidenza dei trasporti sull’aumento del volume di affari aziendale, Cini privilegiò gli interventi anzitutto nel settore marittimo-armatoriale.
Promosse da un lato la fondazione di alcune società di navigazione, intraprese dall’altro l’ascesa al controllo amministrativo di altre società di navigazione e di assicurazione marittima. Dava avvio in tal modo ad un’attività finanziaria ed amministrativa, che si sarebbe completata a cavallo degli anni ’20 e ’30, abbracciando oltre alla marineria anche altri settori collegati, come la cantieristica e la navigazione interna. Il culmine sarebbe stato raggiunto nel 1932, quando la Compagnia adriatica di navigazione (con sede a Venezia), sorta dalla fusione di sei società di navigazione, sotto la sua presidenza assunse praticamente il controllo dei transiti nell’Adriatico e, attraverso questo, nel Mediterraneo orientale e nell’oriente in unione con altre società di navigazione collegate. Con il decreto legge del 7 dic. 1936 l’I.R.I. intervenne nel campo marittimo mediante liquidazioni e concentramenti di società, ridefinizioni e raggruppamenti di servizi, gestione di una nuova finanziaria, la Finmare. Non per questo venne meno l’impegno di Vittorio Cini in seno alla marineria. Le sue iniziative dopo il 1919 sono difficilmente comprensibili se non vengono poste alla luce del suo ingresso nel «gruppo veneziano» che faceva capo a Giuseppe Volpi (da Cini più volte definito. «fraterno amico») e aveva caratterizzato fin dall’inizio le sue direttive con operazioni in cui lo Stato si presentava a garanzia e copertura di iniziative finanziarie private. I suoi rapporti col «gruppo veneziano» si intrecciarono in maniera decisiva dal 1920, quando assunse funzioni di responsabilità nella Società italiana costruzioni (Sitaco), che stava per procedere all’edificazione del quartiere urbano di Marghera annesso alla zona industriale, e nel Credito industriale (Credindustria). In nome e per conto del «gruppo veneziano» egli si inserì in molteplici settori, che manifestavano una forte capacità di partecipazioni incrociate: dagli insediamenti nella zona industriale di Marghera all’espansione dell’elettricità, dal controllo delle acque all’incremento tessile, dai trasporti alle comunicazioni radiotelefoniche, dalla siderurgia, metallurgia, meccanica al turismo. Si può misurare la portata di questa multiforme attività dall’inserimento di Vittorio Cini nella guida amministrativa e finanziaria di società come presidente o consigliere: nel 1930-1931 egli era presente in ventinove complessi.
Il prestigio ormai acquisito e l’allineamento nel «gruppo veneziano» gli valsero ad attrarre gli sguardi attenti degli ambienti economici e politici, tanto che nel 1921 venne nominato commissario straordinario dell’Ilva altiforni e acciaierie d’Italia, per procedere al risanamento del complesso siderurgico. Dopo poco più di un anno, la «nuova» Ilva poteva rilevare i suoi impianti. Nell’Ilva Cini continuò ad esercitare un ruolo di primo piano, tanto da succedere nel marzo 1935 a Sinigaglia nella presidenza della società, che tenne fino al 1939. Iscrittosi al Partito nazionale fascista nel 1926, ormai godeva di notevole ascendente anche presso i vertici politici, tanto che lo stesso Mussolini nel settembre 1927 gli conferì l’incarico di «fiduciario dei governo» per lo studio e le proposte di provvedimcnti concernenti l’assetto politico, sociale, economico di un’area ancora spinosa per il regime fascista, la provincia di Ferrara. Nominato senatore per la XXI categoria (censo) il 23 gennaio del 1934, in tale qualifica Cini non avrebbe svolto una intensa attività: rari ed episodici furono i suoi interventi, segno quasi di disinteresse e, forse, di superiorità per la politica ufficiale. Significativo però fu il suo esordio, connotato da una vivace polemica sul modo di intendere il ruolo e la funzione dello Stato nell’economia.
Nell’ottobre 1936 si parlò di Cini come possibile successore di Beneduce alla presidenza dell’I.R.I. In quel periodo, invece, i contatti tra Mussolini e Cini riguardavano un’altra incombenza, la carica di commissario generale dell’Esposizione universale di Roma (E 42) prevista per il 1942. La nomina venne sanzionata il successivo 31 dicembre. Al momento dell’assunzione dell’incarico egli si presentava con un Programma di massima, in cui tracciava le linee direttive, che, con alcune successive modifiche, si sarebbero manifestate negli anni appresso. Al di là di inevitabili stereotipi intesi ad esaltare l’«olimpiade della civiltà», il «senso di Roma», le «opere del fascismo», notevoli sono i punti qualificanti del progetto. Anzitutto la «definitività» dei lavori, non solo per evitare sprechi di costi senza utili, ma anche per attuare un piano di insediamenti. Poi la localizzazione in una sola area, quella dell’abbazia delle Tre Fontane, e non più in tre zone distinte a Roma, alla Magliana e al Lido, infine la creazione di un nuovo quartiere dirigenziale e residenziale.
Nella veste di commissario dell’E 42 Vittorio Cini effettuò anche una missione negli Stati Uniti nel giugno 1939, alla vigilia della guerra. Lo scopo ufficiale del viaggio – ottenere l’impegno americano di partecipare all’esposizione – nascondeva l’obiettivo reale della visita: verificare – per via diplomatica informale – con il presidente Roosevelt, su incarico del governo italiano, le rispettive posizioni nell’imminenza di prevedibili avvenimenti cruciali.
Gli anni della seconda guerra mondiale segnarono per Cini periodi di contraddizioni e di svolte decisive. Dopo essere stato insignito del titolo di conte di Monselice il 16 maggio 1940, egli si vide affidata la responsabilità di un ministero, quello delle Comunicazioni, nel rimpasto govemativo del 5 febbraio 1943. La nomina, che più volte tenne a dichiarare inaspettata, capitava dopo una serie di rifiuti da lui opposti nel corso del 1942 ad assumere altre cariche, e, soprattutto, in un momento in cui, se non si era già manifestata la scissione di responsabilità col regime fascista, stava per lo meno maturando quella tendenza a trasformare il sistema con l’eliminazione di Mussolini e l’avvicinamento agli Stati Uniti e all’lnghilterra.
Ben presto Cini intrecciò contatti con vari elementi orientati alla «dissidenza» all’intemo del fascismo, da Caviglia a Ambrosio, da Ciano a Grandi, da De Bono a Bottai, sostenendo l’inevitabilità di «sganciarsi dalla Germania», senza temere di affrontare il «pazzo» Mussolini e «avere il coraggio di mandarlo via». Contemporaneamente assumeva nella sua funzione ministeriale una linea critica nei confronti della direzione politica e militare della guerra, tanto da sorprendere Mussolini, che in una riunione si disse «grato della chiara ed esplicita esposizione che solo oggi 10 marzo 1943 è rappresentata nella sua piena realtà». Ma il culmine venne raggiunto nella seduta del Consiglio dei ministri del 19 giugno, quando Cini espose l’insostenibilità della situazione, anticipando in qualche modo la successiva presa di posizione del Gran Consiglio del fascismo del 24-25 luglio. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, Vittorio Cini rassegnò le dimissioni, che vennero però accolte e rese pubbliche solo il 23 luglio. Mussolini non avrebbe perdonato la sua uscita, tanto da provocarne probabilmente l’arresto il 23 settembre a Roma ad opera delle S.S. Venne trasferito nel campo di concentramento di Dachau, ma la scissione di responsabilità del Reich verso ogni misura della Repubblica sociale italiana, e, forse, anche la considerazione goduta presso i vertici economici e politici tedeschi, fecero in modo da procurargli il trasferimento presso una clinica a Friedrichroda, poi un tacito assenso alla liberazione, nascosto dalla costruzione di una fuga in aereo organizzata dal figlio Giorgio. Tra il luglio e l’agosto 1944 egli soggiornò in una casa di cura presso Padova, dove allacciò contatti con Meneghetti, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale regionale veneto, mettendo a disposizione del movimento dl resistenza un cospicuo finanziamento. Oltre tutto fu questa una mossa anticipatrice della linea difensiva adottata successivamente nei confronti dei provvedimenti presi dall’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e dalla commissione d’inchiesta del CLN regionale veneto. Nel gennaio 1946 Cini, soggiornando ancora prudenzialmente in Svizzera, ove si era rifugiato (fu a Tour de Peilz dal settembre 1944 al dicembre 1946), inviò un esposto ed un memoriale all’Alta Corte, in cui contestava gli addebiti mossigli. Il procedimento, per il quale si era interessato – oltre a Sforza anche Alcide De Gasperi nella seduta del Consiglio dei ministri del 5 marzo del 1946 si risolse con una nuova ordinanza del 12 marzo, che revocava la precedente, ripristinando la legittimità del titolo senatoriale a Vittorio Cini per aver preso «netta posizione contro le direttive del regime» e aver dimostrato «vivo patriottismo e violenta avversione al fascismo e al tedesco invasore». All’esito positivo del procedimento concorse in modo forse decisivo il giudizio formulato dalla commissione d’inchiesta nominata nel luglio 1945 dal Comitato di liberazione nazionale regionale veneto. Nel secondo dopoguerra Cini caratterizzò la sua attività con un rinnovato interessamento per la marineria, curando in particolare le iniziative della società Sidarma. Ma fu soprattutto l’industria elettrica ad impegnarlo, quale presidente della SADE. Nel periodo 1953-1962 la società portò a compimento un vasto programma di potenziamento degli insediamenti termo e idroelettrici nel Veneto e nel Friuli. La ripresa espansiva di questo settore era già stata avviata dal 1947-1948: negli anni ’50 però si estendeva notevolmente il piano di ampliamento di centri di produzione, dalle centrali termoelettriche di Marghera, Fusina, Porto Corsini, Monfalcone, ai bacini idroelettrici del Cellina, Cordevole, Piave, Vajont. Ceduti gli impianti all’Ente nazionale per l’energia elettrica, in seguito alla legge 6 dic. 1962, la SADE decise, nell’agosto 1964, di confluire quale finanziaria nella società Montecatini (anticipando così la fusione in questa della Edison). Poteva così assumere più consistenza un progetto di insediamento di un centro siderurgico a ciclo integrale, che era stato previsto dalla SADE. L’insediamento di un centro siderurgico a Taranto, il disastro verificatosi nel bacino del Vajont il 9 ottobre 1963 e l’alluvione che colpì anche Venezia il 4 novembre 1966 fecero definitivamente tramontare questo piano.
Dopo un tentativo, forse non troppo convinto, di ripresentarsi sulla scena politica nel 1951, mediante il finanziamento di un quotidiano romano, Il Popolo di Roma, ispirato di fatto da Bottai, Cini si dedicò con grande interesse ad iniziative culturali e al problema di Venezia.
Nel luglio 1951 nasceva a Venezia la Fondazione Giorgio Cini, dedicata al figlio scomparso in un incidente aereo il 31 agosto 1949. Il progetto di insediamento nell’isola di San Giorgio di un complesso culturale gli era stato suggerito dalla sensibilità di alcuni amici, tra i quali Nino Barbantini, che già si era fatto promotore nel 1935-1940 del ripristino del castello di Monselice (donato poi alla Fondazione nel 1972) e che divenne il primo presidente della Fondazione stessa. L’isola, sede militare da oltre un secolo, pur appartenendo ancora al demanio, fu sottoposta tra il 1951 ed il 1959 a ingenti restauri, rilevanti soprattutto nelle parti monumentali, e conobbe in seguito, nel corso degli anni, l’installazione di tre centri: marinaro, arti e mestieri, di cultura e civiltà. Cini portava così a compimento una passione che l’aveva sempre accompagnato, e che si era concretizzata, oltre che nelle collezioni artistiche del suo palazzo veneziano e del castello ezzeliniano, in iniziative come quella attuata a Ferrara con la donazione del palazzo di Renata di Francia all’Università e quella della creazione di un Istituto di Cultura “Casa Cini” diretto dai gesuiti. La Fondazione assumeva per Vittorio Cini anche un significato di proposta culturale e politica, inerente al problema di Venezia. Non a caso la Fondazione promuoveva (ottobre 1962) un convegno sul «problema di Venezia», in cui Cini si faceva interprete di proposte di salvaguardia dell’«insularità» lagunare, stimolatrice di fermenti culturali, demandando invece alla terraferma il compito di vitalizzazione economica del centro storico: Venezia dunque isola culturale e dirigenziale, Marghera e Mestre forze di produzione e di servizi. In ciò egli si mostrava coerente con una visione di separazione delle competenze, che lo aveva sempre contraddistinto, e che era stata interrotta, come egli stesso riconosceva, da un solo «errore colossale», quello di aver favorito il ponte automobilistico translagunare inaugurato nell’aprile 1933. Venezia fu pure in qualche modo segno del suo legame con la Chiesa cattolica, che si manifestò in vari aspetti: tra questi, la direzione della procuratoria di S. Marco tra il 1955 e il 1967, durante la quale appoggiò importanti restauri nella basilica di S. Marco, guidati da F. Forlati. In questi anni si instaurò anche un intenso rapporto con i pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI.
Deceduta la prima moglie nel giugno 1959, Vittorio Cini sposò in seconde nozze Maria Cristina Dal Pozzo D’Annone il 16 febbraio del 1967. Negli ultimi anni di vita raccolse numerose onorificenze, tra le quali si possono segnalare il cavalierato del lavoro (4 giugno 1959), l’associazione all’Académie des beaux-arts de l’Institut de France (9 ott.1968), il conferimento del collare del Supremo Ordine della SS. Annunziata (11 marzo 1975).
Vittorio Cini morì a Venezia il 18 settembre del 1977.
(dalla voce del “Dizionario Biografico degli Italiani” di Maurizio REBERSCHAK)
© 2025 a cura di Flaviano Rossetto
Vedi anche:
Per news su Monselice https://www.ossicella.it/
Per arte e architettura https://www.ossicella.it/monselice/
Per storia di Monselice https://www.monseliceantica.it/
Info e segnalazioni scrivimi qui flaviano.rossetto@ossicella.it
