STORIA DELLA BANDA E DELLE MAJORETTES DI MONSELICE (1857 – 2024)*
di Flaviano Rossetto
La Monselice ottocentesca
Nella metà dell’ottocento Monselice era sotto la dominazione austriaca, contava circa 9.000 abitanti, la maggioranza della popolazione si dedicava all’agricoltura, soprattutto al bracciantato. Attorno alle grandi proprietà, qualcuna ancora appartenente a membri dell’aristocrazia veneziana e padovana, ruotava la ristretta cerchia delle medie proprietà, tra i 50 e i 100 ettari. I grandi possidenti erano i Buzzaccarini (con 140 ettari), i Contarini (255), i Cromer (272), i Trieste che assorbirono le proprietà dei Duodo (374) e i conti Oddo (161).
Contemporaneamente si assisteva alla decadenza dei latifondi del grande patriziato: i Marcello ad esempio vendevano nel 1840 il Castello della Rocca alla ricca famiglia Giraldi, possidenti e imprenditori di cave di trachite, successivamente imparentatisi con i Cini di Ferrara. Le industrie erano poche: la filanda Trieste, creata nel 1846, dava lavoro stagionale ad un centinaio di donne di Valdobbiadene o friulane, mentre altrettanti uomini si dedicavano all’estrazione della trachite nelle tre cave locali. L’attività manifatturiera era scarsamente sviluppata, il commercio limitato e l’artigianato, legato al lavoro dei contadini, era privo di qualsiasi sviluppo industriale. Nei primi dell’ottocento, sotto il governo austriaco, Monselice ha vissuto una grande stagione di lavori pubblici e di investimenti infrastrutturali quali ad esempio il ripristino della navigabilità del canale Battaglia fino a Este (1817) e di altri canali minori, la realizzazione del cimitero comunale fuori dal centro abitato (1823), la creazione dell’Ufficio tecnico comunale affidato alla direzione di un ingegnere (1822), la realizzazione dell’impianto di illuminazione pubblica a gas, uno dei primi della provincia (1824), l’istituzione del macello (1832), la fondazione del primo Ospedale civile (1837), la costruzione del teatro (1844) e un’intensa campagna di lavori stradali per sistemare la rete viaria del centro e delle frazioni. Anche le famiglie nobili fecero la loro parte: la famiglia Buzzaccarini sistemò a proprie spese il vecchio ponte di Marendole mentre Elisabetta Duodo in Balbi-Valier lastricò e delimitò con marciapiedi e muri la strada del santuario delle Sette Chiese (1857), considerata evidentemente più come via di accesso privata al Santuario e a Villa Duodo che come strada di pubblico interesse. Infine, a confermare il grado di sviluppo culturale della nostra cittadina, il Consiglio Comunale chiese all’autorità asburgica di ottenere il titolo ufficiale di città; la risposta positiva arrivò il 22 ottobre 1857. Monselice che aspirava al ruolo guida della Bassa padovana non poteva – suggerisce Roberto Valandro – essere priva di una banda cittadina.
1857: Istituzione della Banda e costituzione del Gabinetto di Lettura
La rinnovata società borghese monselicense di quel tempo, costituita da proprietari terrieri, sacerdoti, commercianti e funzionari, sentì il bisogno di dotare la comunità di due istituzioni pubbliche in grado di qualificare l’immagine culturale e ricreativa della città favorendo, tra l’altro, l’avvicinamento alla musica delle giovani generazioni in un periodo in cui le occasioni di svago erano assai poche. Due nuclei specifici di cittadini appoggiarono nel 1857 la fondazione del Gabinetto di Lettura e l’istituzione della Banda cittadina. I due sodalizi ebbero alterne fortune e si svilupparono grazie all’appoggio, anche economico, dell’amministrazione comunale. Seguiremo in questo saggio la storia della Banda, ma anche del Gabinetto di Lettura possediamo studi e ricerche che meriterebbero di essere pubblicati. Purtroppo la Banda non ha conservato il proprio archivio. Nella redazione del presente studio, abbiamo utilizzato solamente le poche carte che si sono conservate presso l’archivio storico comunale e una dettagliata relazione di Celso Carturan (1885-1950) inserita nella sua poderosa Storia di Monselice, ora leggibile nel sito web della biblioteca. Le fonti disponibili ci consentono tuttavia di abbozzare a grandi linee la storia della Banda, anche se qualche lacuna è rimasta. Nell’esposizione seguiremo il tradizionale ordine cronologico dedicando un capitolo ad ogni presidente della Banda nel periodo 1857-1945 e precisamente:
I Capitolo – Presidenza: Alvise Tortorini, Giovanni Moretti e Luigi Spasciani ( ? 1877 ?)
II Capitolo – Presidente Francesco Viganò (1906 ? – 1908)
III Capitolo – Presidente Giacomo Fezzi (1908 -1909)
IV Capitolo – Presidente Raimondo Steiner (1912 -1916)
V Capitolo – Presidente Raimondo Steiner (1919 – 1923): 2° mandato
VI Capitolo – Presidente Mario Ramor (1925 -1929)
Il Gabinetto di Lettura
E’ doveroso, per chi scrive, dedicare almeno una scheda alla costituzione del Gabinetto di Lettura perché, oltre agli obblighi morali, di fatto nasceva dagli stessi uomini che hanno dato vita alla Banda cittadina e, soprattutto, con le stesse motivazioni che vedremo riportate più avanti anche nelle lettere ufficiali. Affermava il sacerdote Francesco Sartori – uno dei soci fondatori – nel suo romanzo intitolato Fra’ Gontarino, pubblicato nel 1880: “Nel giugno del (milleottocento)cinquantasette ‘aprivasi’ per opera di benemeriti fondatori un Gabinetto per chi di utili e amene letture gode pascere l’intelletto ed il cuore, e sorridere alle promesse dei ministri, alle chiacchiere dei deputati, e a tutte le belle cose che con tanta sicumera ci imbandiscono quotidianamente le gazzette d’ogni colore”. La prima istituzione bibliotecaria pubblica a Monselice venne ‘formalmente’ istituita, con tanto di statuto approvato dall’autorità asburgica, il 18 marzo 1857 a opera e interesse principalmente della ‘nuova’ borghesia locale e del clero che anche nella nostra città stavano animando la vita del paese.
Era una iniziativa di tipo associativo, rivolta alle persone più ‘ragguardevoli’ della città, che desideravano avere “una patria biblioteca”, con la possibilità per i soci di accedere alla “lettura di libri e giornali”. A frequentarlo era la Monselice bene, tra i soci aderenti troviamo i De Pieri, Antonio e Giovanbattista che avevano ricoperto il ruolo di sindaci durante l’età napoleonica; i Santarello, anch’essi ricchi possidenti locali, benefattori del nascente ospedale e sostenitori delle Opere Pie; Giovanni Pertile, sindaco della città dal 1872 al 1888 e poi dal 1895 al 1898; l’avvocato Bernardo Bertana; il possidente Giacomo Grizzi; il commerciante Francesco Olivetti, che diventerà presidente dell’ospedale; Felice Bertana, amico intimo dell’arciprete De Piero. Troviamo inoltre Carlo Borso, a capo di una delle più cospicue famiglie monselicensi, diventato poi presidente della Società Operaia; Giuseppe Carleschi, appartenente ad una ricca famiglia di medici, fu segretario comunale, scrittore e verseggiatore forbito ed elegante; dott. Luigi Ghirotti, medico comunale; Andrea Cocchi, diligente raccoglitore di memorie storiche monselicensi e altri ancora. L’iniziativa borghese di costituire il Gabinetto di Lettura fu supportata e coordinata dal clero locale, ben radicato a Monselice e consapevole del proprio ruolo sociale, sollecitato dagli aspetti di vita religiosa e morale più che dai problemi politici. Monsignor Evangelista De Piero (1820-1898), arciprete di Santa Giustina, fondatore e presidente del Gabinetto di Lettura, “fu una delle più belle e nobili figure di sacerdote che avessero potuto vantare le istituzioni e le iniziative locali”, secondo il Celso Carturan. Assieme all’arciprete di Santa Giustina diedero vita al Gabinetto di Lettura don Luigi Faccioli, sacerdote molto stimato che coprì anche qualche carica cittadina; don Francesco Sartori (+1898), letterato, insegnante e romanziere, e don Stefano Piombin (+1887), uomo di cultura e collezionista d’arte. Questi ultimi furono due preti diversi dagli altri. Entrambi insegnanti al ginnasio monselicense, convinti sostenitori delle idee laiche e liberali, animati da un forte patriottismo storico, si dilettarono di teatro e di letteratura. Il Gabinetto di Lettura nacque e si sviluppò in un periodo storico considerato senz’altro tra i più significativi per la formazione culturale e sociale del territorio monselicense. Fu sciolto nel 1939 dal podestà Mazzarolli e creata al suo posto la Biblioteca comunale che ancora oggi continua la sua attività.
Da Banda militare a Banda cittadina
Durante la stabilizzata dominazione austriaca (1814-1866) Monselice ospitava una grande caserma, nella quale erano alloggiati circa 2.000 soldati, con annessa Banda militare di buon livello che si esercitava in un palazzo di via San Martino, in prossimità della omonima chiesa. La Banda militare si esibiva nella piazza principale nelle sere di giovedì e di domenica e spesso si impegnava in veri e propri concerti con tanto di programma che veniva diffuso fra la cittadinanza. Con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, avvenuta nel 1866, gli uffici della Banda traslocarono nella cosiddetta Caserma del capitano delle cernite, che si trovava nell’attuale via Roma, in un edificio che ospitava pure le guardie municipali. Il 1° gennaio 1857 venne ufficialmente istituita a Monselice, scrive lo storico municipale Celso Carturan, una Banda cittadina sotto gli auspici di un sodalizio intitolato ‘La Società filarmonica’ ; purtroppo mancano notizie su chi si applicò per la sua istituzione. La nuova Società era affidata ad alcuni soci sostenitori che a loro volta eleggevano un Consiglio di presidenza composto da 3 membri. Dalla documentazione posseduta possiamo supporre che la Banda fosse formata da suonatori militari e civili, residenti nel territorio monselicense, come vedremo in una nota del 9 maggio 1871. Nell’aprile dello stesso anno fu eletto il ‘primo’ maestro del corpo bandistico, il boemo Luigi Barburech, già maestro della Banda militare austriaca. Dopo qualche mese lasciò la nostra città per andare a dirigere a Verona la Banda militare dei Kaiserjager. Al Barbureck successe il maestro Galletti il quale – ad onor del vero – “aveva maggiore attitudine a dirigere piuttosto un corpo orchestrale”. Il Galletti rimase a Monselice per poco tempo e dopo di lui assunse la direzione della Banda il monselicense Paolo Santato (1842-1924). Nel 1874 anche Santato abbandonò Monselice per trasferirsi ad Arco nel Trentino dovendo seguire la Banda di quella città. Con la partenza del maestro la nostra Banda cittadina subì una prima crisi e si sciolse. Diamo, a titolo di curiosità e di cronaca, il programma di un concerto del 1859 sotto la direzione del Barbureck.
- Marcia Il fiore di maggio di Barbureck
- Finale dell’Opera Lucia di Lammermoor di Donizetti
- Quadriglia veneziana, di Hallmayer
- Coro dall’Opera I Masnadieri di Verdi
- Polka, Mazurka di Barbureck
- Marcia Egina di Barbureck
La divisa dei suonatori
L’uniforme della Banda, fino al 1866, consisteva in calzoni bianchi, giubba nera e berretto; poi si adottò la divisa simile a quella della Guardia nazionale con spadino. Dal 1879 si utilizzò come tessuto il panno nero con guarnizioni ed alamari blu, colbac con penna blu per i filarmonici e bianca per il maestro, busta in cuoio a tracolla col distintivo di un’arpa in metallo bianco. La nuova divisa fu mantenuta, con qualche variante, fino allo scioglimento della Banda avvenuto nel 1910. Per i servizi meno importanti veniva adottato soltanto un berretto di panno nero, filettato in blu, con l’arpa in metallo bianco e di formato simile a quello usato in quei tempi dalla fanteria in bassa tenuta, volgarmente chiamato: kepì (copricapo militare di forma cilindrica o troncoconica, con la parte più stretta in alto e dotato di visiera, diffusosi per la sua praticità, rispetto ai berretti in uso precedentemente, fra i principali eserciti nell’ottocento e nel primo novecento. È stato progressivamente soppiantato dal berretto piatto o rigido e dal basco). Il numero dei componenti del corpo bandistico, nei tempi di crisi, si aggirava sulla trentina e nei tempi di maggiore splendore raggiungeva spesso la sessantina. Coprirono la carica di presidente della filarmonica, durante il suo maggiore sviluppo, numerose personalità quali il sindaco Alvise Tortorini, Raimondo Steiner e Francesco Viganò, come vedremo nelle pagine seguenti.
L’orchestra cittadina
Monselice ebbe da sempre anche un numeroso corpo orchestrale. Nei teatri era consuetudine, durante le rappresentazioni di prosa e negli intervalli, far suonare l’orchestra la quale talvolta sapeva dare veri e propri concerti “tanto che si avverava il caso che il pubblico preferisse e gustasse di più le battute dell’orchestra che non quelle di certi attori”, commentava ironicamente il Carturan. Seguiva la nostra orchestra il maestro Galletti, chiamato dopo il 1866 a ‘curare’ anche la Banda cittadina e la scuola per gli strumenti ad arco. L’orchestra era per lo più guidata dai maestri stessi della Banda, ma fu in molte occasioni diretta anche da qualcuno dei suonatori. Ricordiamo Antonio Lessana, organista del Duomo, “divoratore più che un suonatore di musica al pianoforte, piccolo, deforme di figura ma ottima pasta di uomo e di professionista” e il maestro Carlo Carlini, suonatore di violino e spesso dirigente d’orchestra nei balli e durante le rappresentazioni teatrali in prosa. Dopo il maestro Carlini il corpo orchestrale ebbe direttori e maestri che si alternarono con il corpo bandistico. Per qualche tempo, fino a circa il 1885, guidò l’orchestra anche Carlo Carturan. Il periodo 1885-1900 fu il più importante e proficuo per il corpo orchestrale. Fra i suonatori, ricordiamo il violinista Sartore Massimiliano dotato di notevole valore artistico. Trasferitosi verso la fine del secolo a Venezia, occupò un posto di prima fila nelle orchestre dei maggiori teatri veneti. Ricordiamo pure un altro valente violinista, il maestro Grigolato; suo padre, oltre a suonare il contrabbasso nella nostra orchestra, ebbe la fortunata audacia di istruire il corpo bandistico ad Arquà Petrarca. Il corpo orchestrale, oltre che prestarsi durante le rappresentazioni teatrali, dava spesso ottimi concerti in teatro, nella sala ‘Garibaldi’ ed in altri luoghi, nonché in cerimonie religiose. Ogni anno era chiamato per due o tre volte alla settimana, e talvolta anche ogni sera, a dare concerto nello stabilimento termale di Battaglia durante la stagione estiva. Tuttavia anche l’orchestra andò man mano declinando con il passare degli anni.
L’annessione al Regno d’Italia 1866
All’indomani della terza guerra d’Indipendenza (giugno-ottobre 1866) il Regno d’Italia strappò all’Austria il territorio del Veneto, che allora includeva Udine, il Friuli e la Provincia di Mantova. Un ponte improvvisato di molini galleggianti sull’Adige, attraversato dagli squadroni dei lancieri di Vittorio Emanuele II, unì Monselice all’Italia il 10 luglio 1866. Il primo ‘segnale’ dell’insediamento del nuovo stato fu l’arrivo a Monselice dei reali carabinieri. In fretta e furia, già a partire dal 1° agosto 1866, furono sistemati in un locale di Angelo Manprin in contrada San Giacomo. Il Comune provvide velocemente ad arredare un’improvvisata caserma con mobilio di vario genere: tavoli per la cucina e letti per riposare, mentre i cavalli degli ufficiali furono sistemati in una scuderia poco lontano. Ma la burocrazia comunale era già in subbuglio perché non era chiaro chi dovesse pagare il conto per l’alloggio dei carabinieri. Se lo ricordava bene il sig. Angelo che non sapeva a chi rivolgersi. Con il supporto di un avvocato inviò in Municipio decine di solleciti e relazioni. Ma in Comune rispondevano che non c’era nessuna legge che lo precisasse; i carabinieri ripetevano che doveva essere il Sindaco ad occuparsene. Il Veneto era con l’Italia, ma non era chiaro, almeno a Monselice, chi dovesse far fronte alle spese. Dopo due anni di chiarimenti con il governo centrale fu precisato che le incombenze economiche erano di competenza provinciale e allo sconsolato Manprin fu liquidato il conto. Nell’estate del 1866 la comunità di Monselice assistette al nuovo mutamento istituzionale. Ai rappresentanti degli Asburgo si sostituirono gli Italiani, espressione concreta dell’Unità nazionale appena raggiunta.
Nel mese di ottobre 1866, attraverso un plebiscito popolare dall’esito scontato, i monselicensi più abbienti approvarono l’annessione della loro terra al Regno d’Italia. Un consenso ‘totale’ giustificato forse dal fatto che le famiglie aristocratiche, legate da rapporti di antica data alla nobiltà veneziana, avevano accusato nel corso del periodo austriaco un processo di lenta decadenza. Lo spazio sociale lasciato scoperto dall’aristocrazia venne così colmato dall’ascesa di una ‘nuova’ classe borghese che comprendeva al suo interno un insieme di ricche famiglie interessate sia al possesso fondiario sia alle prime attività industriali da poco avviate nella regione. Questa nuova ‘borghesia’ è stata quella che di fatto ha dato vita al Gabinetto di lettura e alla Banda cittadina.
Situazione politica a Monselice nella seconda meta dell’ottocento
Dall’annessione alla fine del XIX secolo, e quindi in quasi trent’anni, il Comune di Monselice ebbe solamente due sindaci: Giovanni Pertile e Alvise Tortorini, entrambi rappresentanti della borghesia terriera che, come abbiamo visto, aveva sostituito l’aristocrazia veneziana nella guida della società. In quegli anni, grazie allo loro attività, presero avvio importanti opere pubbliche come ad esempio la sistemazione dell’antico Palazzo Pretorio divenuto, a partire dal 1867, la sede del Gabinetto di Lettura e all’interno del quale venne ricavata la sala delle assemblee, detta “Sala Garibaldi” (utilizzata per le sedute del Consiglio Comunale e per ogni altro evento politico e culturale, come i cicli di conferenze e le riunioni delle assemblee dei filarmonici). Furono anni che videro inoltre l’istituzione del corpo dei pompieri, la costruzione della pescheria e degli annessi bagni pubblici, l’installazione di un impianto di illuminazione pubblica e l’apertura al traffico della linea ferroviaria Padova-Rovigo (1866). Nel febbraio del 1867 la visita in paese del generale Giuseppe Garibaldi aveva suscitato grandi entusiasmi in grado di riorganizzare la Società Operaia; promotori dell’iniziativa furono Carlo Monticelli e Angelo Galeno, quest’ultimo futuro leader del socialismo padovano e attivo sostenitore della nostra Banda.
1° CAPITOLO
Presidenza: Alvise Tortorini, Giovanni Moretti e Luigi Spasciani ( ? 1877 ? )
La famiglia Tortorini è stata una delle più notevoli e influenti della città, come abbiamo visto nelle pagine precedenti. Il cav. Giovanni Antonio Tortorini (Podestà dal 1864 al ‘66) possedeva una avviata spezieria ( poi farmacia) in via Roma, acquistata attorno alla metà del 1700; la vendette nel 1795 a Giuseppe Pertile. Il Tortorini è noto nella nostra città per aver acquistato la magnifica villa che porta ancora il suo nome, diventata nel secondo dopo guerra sede comunale. Suo figlio Alvise 1847-1911 (Sindaco dal 1888 al ’95 e nel biennio 1907-‘08) è stato un autorevole esponente del partito monarchico-liberale. Morì senza figli a Padova nel 1911, lasciando erede la moglie contessa Margherita Cappello. Nel suo testamento lasciò qualche bene anche al comune di Monselice, con l’obbligo di istituire l’asilo infantile che porta ancora il nome dei Tortorini. Non sappiamo quando Alvise Tortorini entrò nella presidenza della Banda, sicuramente nel 1877 ne faceva parte.
Il maestro Giuseppe Salviati
Il 2 maggio 1868 il sindaco di Thiene chiese al sindaco di Monselice informazioni sul maestro Paolo Santato, probabilmente in vista di un incarico come maestro della Società filarmonica di quella città. Il ‘nostro’ nella risposta elogiò il Santato come “perfetto conoscitore di strumenti musicali da fiato e da corda, abilissimo e paziente ad istruire un corpo di allievi per Banda ed orchestra, appassionato a ridurre e concertare pezzi musicali e fornito di non comune abilità come suonatore di organo, di contegno sociale veramente esemplare… un vero acquisto per la Società filarmonica”. Ma lo sperticato elogio non gli garantì un futuro nella cittadina vicentina, ma nella nostra, come vedremo tra un po’. Nel frattempo la Banda era in difficoltà, tanto che il 9 maggio 1871 Giuseppe Malapipino, ‘capo Banda di Monselice’, invitò la Giunta municipale a ritirare dai militari appartenenti al ‘corpo dei musicanti’ gli strumenti e la divisa. Ma da un controllo emerse che qualcuno dei musicisti aveva venduto pure lo strumento avuto in dotazione. Per evitare altri problemi, a costoro fu imposto di corrispondere a titolo di rimborso spese al Comune la somma di 2,60 lire. La presenza di militari nel corpo bandistico ci fa supporre che in questa prima fase la Banda fosse composta da suonatori ‘civili’ e militari, probabilmente quest’ultimi erano gli appartenenti all’esercito (asburgico o italiano) che dopo l’Unità tornarono alle loro occupazioni. Altro i documenti non dicono. Nel 1877 la Banda si ricompose sotto la guida del concittadino Giuseppe Salviati “considerato – precisa il Carturan – da tutti il maggior appassionato di musica di quel tempo e fu uno dei migliori esponenti della nostra Banda cittadina”. Durante il suo incarico formò nuovi elementi con i quali costituì il nuovo corpo bandistico che iniziò i suoi concerti ed esibizioni il 1° gennaio 1878. Tra i molti impegni ebbe l’onore di accompagnare, nelle solenni funebri onoranze, la salma dell’illustre colonnello napoleonico e patriota Giacomo Zanellato. In appoggio ai nobili sforzi e alla buona volontà del corpo bandistico si ricostituì anche la Società filarmonica raccogliendo un buon numero di contribuzioni sociali ed assicurandosi dal Comune un annuo contributo di 2.000 lire. Le entrate permisero alla presidenza composta da Alvise Tortorini, dall’ing. Giovanni Moretti e da Luigi Spasciani, di bandire un pubblico concorso per la nomina del maestro e direttore della Banda. Le cose si fecero davvero sul serio e per bene. Il concorso fu indetto per titoli e per esami. I concorrenti furono circa una quarantina. La commissione esaminatrice era composta dei maestri: Malipiero di Venezia, Manin e Cherubini direttori rispettivamente dell’orchestra e della Banda di Rovigo. Alla fine venne scelto il maestro Luigi Colonna da Murano, che assunse le sue funzioni nel 1879.
La svolta del 1879. L’inserimento del Comune nel direttivo della Banda
Nei primi mesi del 1879 una petizione fu “presentata da molti cittadini” per sollecitare la ricostituzione della Banda cittadina … “per utile e decoro del paese”, precisarono nei documenti ufficiali. Il 29 maggio 1879 il Consiglio Comunale si riunì per esaminare la proposta di un nuovo statuto per la Banda nel quale furono elencati diritti e doveri del corpo dei musicisti, dei soci contribuenti e l’inevitabile concorso economico del Comune. Ma quella bozza di statuto non piaceva a tutti. Durante la discussione nel parlamentino monselicense un consigliere – probabilmente Calchera – chiese una riduzione delle spese annuali preventivate per il funzionamento della Banda e soprattutto dichiarò che, a suo parere, “la pratica era immatura” in quanto non era neppure indicata l’entità del contributo comunale. Subito dopo altri consiglieri chiesero di avere la possibilità di nominare qualche loro rappresentante nel direttivo della Banda cittadina. Il presidente del Consiglio, preso in contropiede, condivise le critiche avanzate e fece votare la ‘sospensiva’ della proposta auspicando uno statuto ‘più positivo’ nel quale fossero previste delle clausole che garantissero un controllo diretto del Consiglio Comunale sull’operato della Società bandistica. I filarmonici, consapevoli che senza il sussidio comunale la Società non avrebbe avuto futuro, accettarono, loro malgrado, i ‘desiderata’ del Consiglio Comunale. In un baleno furono fatte le modifiche dall’assemblea dei filarmonici e la nuova proposta statutaria ritornò in Consiglio il 15 luglio 1879 assieme al bilancio della Banda che riportava spese per 2.995 lire, mentre le entrate derivanti dai soci venivano quantificate solamente in 1.400 lire. Fatti i conti, mancavano per pareggiare 1.595 lire che dovevano essere messe a disposizione dal Comune. Nell’esaminare il bilancio il consigliere Arrigoni precisò subito che anche le nuove proposte non erano accettabili e pretese che ‘l’ingerenza’ del Comune sulla gestione della Banda fosse più estesa o per lo meno che il sindaco potesse far parte della presidenza. Il consigliere avv. Moroni condivise le proposte del conte Oddo e fece approvare un secondo rinvio della proposta, affinché “la Giunta potesse accordarsi con la Banda”. Il 21 luglio 1879 il Consiglio Comunale ritornò per la terza volta sull’argomento per esaminare gli accordi intercorsi, nel frattempo, fra la Giunta e la presidenza della Società. Le modifiche apportate allo statuto prevedevano che il sindaco e un consigliere potessero di diritto entrare nel direttivo della filarmonica. Inoltre si obbligava la Banda ad eseguire almeno due concerti pubblici al mese e, soprattutto, veniva precisato che il “corpo di musica doveva intervenire al completo ad ogni chiamata del Sindaco in cerimonie civili senza discutere sulla causa dell’invito”. Alla fine della discussione il Consiglio approvò un finanziamento di 1.200 lire per il primo anno di vita, con l’incarico al sindaco di confermare o annullare tale contributo per l’anno successivo. Messa ai voti, la proposta venne approvata con 10 voti favorevoli e 2 contrari. In applicazione delle nuove norme entrarono a far parte della presidenza della Banda il Sindaco e il consigliere Arrigoni degli Oddi. Purtroppo però il presidente del Consiglio Comunale si affrettò a precisare che con l’entrata in vigore del nuovo statuto terminava anche la consuetudine di erogare 30 lire alla Banda per ogni esibizione pubblica.
Il maestro Luigi Colonna (1879-1886)
Il Colonna era un ottimo suonatore di flauto e per strane coincidenze realizzò pure una serie di concerti nel Caucaso, dove ottenne un gran successo tanto da essere nominato maestro di flauto in quel conservatorio. Dotato di notevole attitudine ed intelligenza nel campo musicale, scrisse, fra l’altro, un’ applaudita sinfonia ed una decantata rapsodia. Compose inoltre alcuni brani di due opere, ‘Nazarello’ e ‘Maria de Ricci’e diresse pure l’opera buffa ‘Don Checco’ nel nostro teatro sociale. Durante la direzione del Colonna, la Banda attraversò uno dei periodi più salienti e più fervidi della sua attività. Dai giornali del 1883 troviamo un sicuro riferimento alla Banda cittadina. “Alle 3 pomeridiane (dopo il banchetto) tutti attorno alla bandiera preceduti dalla Banda cittadina, salivano alla storica Rocca, luogo ameno e pittoresco per trattenervisi giocondamente insieme alle loro famiglie, in ogni specie di lieti passatempi… La spianata dove si era posta la Banda, la salita che conduce alla vetta e nei pressi del torrione, erano gremiti di gente allegra, venuta lassù con buona intenzione di divertirsi. Sull’imbrunire i soci, preceduti sempre dalla bandiera e dalla musica, cui s’era aggiunta la fanfara della società di ginnastica di Pernumia, scendendo dalla Rocca, percorrevano alcune vie principali del paese fra gli evviva e le acclamazioni dei cittadini, che facevano ala al loro passaggio..”. Tra le iniziative di quel tempo segnaliamo il famoso ‘Concertone’ tenuto nella maggiore piazza di Este nel 1883 cui parteciparono – con 60 suonatori ciascuna – le bande riunite di Este e di Monselice. Le prove si eseguirono nella villa di Ca’ Barbaro, a metà strada tra le due città. Diressero il concerto, alternandosi per ogni partitura, i maestri Corradi di Este e Colonna di Monselice. Il successo fu enorme. Nel 1895 la Banda cittadina contava circa trenta suonatori effettivi e sette allievi. Ma il Colonna, di carattere alquanto bizzarro e di condotta non troppo regolare, dovette essere licenziato nel maggio 1886. Egli tornò a dirigere la Banda della sua Murano. Riportiamo il programma di un suo concerto.
Marcia, Pina ; Duetto finale Lucia di Donizetti ; Mazurka Emma di Colonna Terzetto Ernani di Verdi ; Waltz, Pensieri amorosi di Colonna; Polka, Violetta
Congresso bandistico regionale a Castelfranco Veneto 1890
Il 6 e il 7 settembre 1890 si tenne a Castelfranco Veneto il V congresso bandistico regionale. Interessante per la nostra storia fu un lungo intervento del sig. dell’Errera – Presidente della Società filarmonica di Mirano – il quale faceva rilevare il miglioramento complessivo delle bande musicali venete nel periodo compreso tra il 1866 e il 1890, “un salutare risveglio generale che esaltava la funzione sociale ed educativa dei complessi musicali e delle scuole di musica che tolgono al vizio i giovanetti per crescerli in un ambiente sereno”. Concludeva la sua relazione con la proposta di creare una federazione fra le Società Filarmoniche della Regione per promuovere e valorizzare l’attività dei gruppi musicali. Negli atti del congresso venivano citate le bande esistenti nel Veneto, con dati e statistiche per ognuna. Tra quelle padovane vengono riportate quelle di Abano, Este, Monselice, San Martino di Lupari e Camposampiero.
Il maestro Santato (1886-1910)
Il 1° maggio 1886 assunse nuovamente la direzione della Banda il concittadino maestro Paolo Santato che, per ritornare alla sua Monselice, abbandonò improvvisamente la Banda della città di Arco (TN) che per tanti anni aveva diretto. Il Santato rimase in carica fino allo scioglimento del sodalizio avvenuto nel 1910, per dissidi interni e politici. Secondo il Carturan lo sviluppo delle teorie socialiste e il radicarsi tra la popolazione dell’odio contro i preti influenzarono anche i filarmonici monselicensi i quali iniziarono a disertare i servizi musicali nelle chiese. Per tale motivo i soci sostenitori, di tendenza cattolica, abbandonarono in massa il sodalizio. Dal 1897 al 1900 – ricorda ancora il Carturan – “furono organizzate a beneficio della filarmonica, riuscitissime feste da ballo nel Teatro sociale, pesche e lotterie ricche di splendidi regali, festival grandiosi come quello tenuto in piazza Ossicella ove, chiusi gli sbocchi, accorse a pagamento moltissima folla per assistere a concerti, balli, pesche ed altri ben trovati divertimenti”.
Elezione del sindaco Alberto Balbi Valier (1900-1905)
Il 29 luglio 1900 la notizia dell’assassinio del Re Umberto rattristò anche i monselicensi che decisero di onorarne la memoria deliberando uno speciale sussidio all’Asilo Infantile e facendo celebrare una solenne funzione religiosa in Duomo (ora Pieve di Santa Giustina) con l’accompagnamento della Banda. Le elezioni comunali del 29 luglio 1900 videro la vittoria dell’alleanza tra cattolici e liberali che favorì l’elezione alla carica di sindaco del conte Alberto Balbi Valier. Tra le realizzazioni di quel periodo segnaliamo l’installazione a Monselice della prima cabina telefonica e l’edificazione della scuola elementare di Marendole. Nell’estate 1905 l’amministrazione Balbi rassegnò le dimissioni. Due mesi dopo fu eletto alla carica di sindaco il conte Arrigoni che morì l’anno successivo all’età di 75 anni. Fissate per il mese di luglio 1907, le elezioni videro sfidarsi la lista radicale capitaniata dall’avv. Zorzati e quella socialista del battagliero Angelo Galeno, quest’ultimo attivo nel direttivo della Banda. Alla fine prevalse la lista dell’alleanza cattolico-moderata che elesse sindaco per la seconda volta Alvise Tortorini, il quale rimase in carica per un solo anno.
Elezione del Sindaco Alvise Tortorini (1907-1908)
Il 13 dicembre 1907 il Tortorini – ricordando sicuramente i suoi trascorsi nella Banda – fece approvare dal Consiglio Comunale un nuovo statuto (pubblicato in appendice) che dava alla Società filarmonica il titolo di ‘Istituto filarmonico di Monselice’ con il compito di ‘operare’ per 5 anni durante i quali il Comune si impegnava a versare un sussidio annuo di 2.000 lire. Nel testo della delibera si indicava la volontà “di rialzare le sorti purtroppo malandate dell’istituzione civica che già in passato ebbe uno sviluppo fiorente e per la quale il Comune sostenne un non lieve sacrificio”.
II CAPITOLO : Presidente Francesco Viganò (1906 ? – 1908)
Il Viganò era nato a Venezia nel 1847 e morì ad Abano nel 1922. Il Carturan ci informa che arrivò da Venezia attorno al 1885, era “di mediocre ingegno e di molta ambizione. Riuscì, fra le molte cariche ricoperte, a raggiungere il desideratissimo posto di sindaco della nostra città. Per tanti anni attese inutilmente la croce di cavaliere; non ebbe figli e la famiglia si estinse”.
Sui compensi ai filarmonici per le prove del 1906
Non sappiamo quando l’avvocato Francesco Viganò diventò presidente della Banda, ma tra le carte abbiamo trovato una sua nota con la quale quantificava i compensi elargiti ai suonatori nel 1906. Questo ci fa supporre che Francesco Viganò in quell’anno fosse già presidente della Banda. La preziosa carta ci fa conoscere anche i nominativi e il modesto importo conferito ai nostri suonatori che – come nostra consuetudine – riportiamo: Natale Margine (vice maestro) 10,45 lire; Antonio Girotto 4,20 lire; Lorenzo Girotto 4,20 lire; Antonio Marcolongo 12,50; Antonio Greggio 2,60; Ernesto Valeri 6,28; Luigi Moscatello 1,95; Giovanni Dall’Angelo 7,60; Enrico Bagattin 4,20; Giuseppe Valerio 3,50; Ottavio Tosello 5,80; Vittorio Gusella 3,45; Luigi Bellato 6,40; Giuseppe Sartori 2,60; Giuseppe Dutto 2,40.
Sulla mancata erogazione di un contributo di 2.000 lire
Il 9 febbraio 1908 la presidenza della Società filarmonica si riunì in casa del presidente avv. Francesco Viganò; parteciparono l’avv. Angelo Galeno, Giacomo Fezzi e Giuseppe Scarparo in qualità di componenti del direttivo. Nel verbale si precisava che si era dimesso Celso Carturan perché “apparteneva anche al consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Monselice avente rapporti di interesse con la Società”. Il presidente Viganò comunicò che il Consiglio Comunale nel 1907 aveva votato un sussidio di 2.000 lire per la Banda relativo agli anni 1906-‘07, ma – commentava malinconicamente – “tale contributo non è ancora stato erogato”. La Giunta del sindaco Tortorini, sentita sull’argomento, si giustificò affermando che aspettava “la modifica dello statuto della Società nel senso che auspicava nel direttivo della Banda una più larga rappresentanza del Comune”. Fatta la proposta nell’ottobre 1907, il Consiglio Comunale approvò subito il nuovo statuto, ma non fu di parola e non erogò il contributo previsto. Con quella somma ci sarebbe stato da pagare – precisava il direttivo della Banda al Sindaco – “il maestro di musica Paolo Santato, le spese per l’affitto del locale ad uso scuola da corrispondere alla sig.ra Carturan, la quale ha già citato in giudizio la Banda per il mancato pagamento aggravando le spese per questo sodalizio, e anche altri fornitori che già minacciano di seguire l’esempio della sig.ra Carturan”. La mancata erogazione del contributo fece sorgere un conflitto tra il Sindaco e la presidenza della Società, sicuramente innescato da divergenze politiche. La ‘lite’ tra il Sindaco e Banda ha alimentato un voluminoso carteggio che si è conservato presso l’archivio comunale. Il Sindaco, ad un certo punto, si giustificò affermando che nel 1907 la Banda non aveva eseguito nessun concerto, per cui era venuta a mancare alla cittadinanza “la prestazione effettiva di quel servizio di educazione, di decoro e di utilità” per la quale era stata impegnata la somma di 2.000 lire. Naturalmente quelli della Banda smentirono subito.
Pignoramento dei beni della Società filarmonica
Le lungaggini nell’erogazione del contributo, come detto, irritarono la signora Matilde Carturan, vedova Paparelle di Pernumia, la quale aveva dato in affitto dei locali di sua proprietà in via San Martino alla Società filarmonica già dal 1° gennaio 1906. La vedova pattuì un compenso annuo di 200 lire. La Società, per la mancata erogazione del contributo, non aveva ancora liquidato alla vedova il dovuto. Messo alle strette, l’avvocato Francesco Viganò, presidente della Società, liquidò con due anni di ritardo le spese d’affitto. La sig.ra Matilde pretese, subito dopo, anche la risoluzione del contratto, lo sgombero dei locali e le spese legali che quantificò in 151 lire. La questione finì in tribunale, il giudice alla fine intimò all’avvocato Viganò di pagare all’energica signora la somma richiesta. Purtroppo il debito non fu onorato neppure questa volta e il giudice sentenziò il pignoramento presso il Comune della somma impegnata per la Società filarmonica, degli strumenti musicali e del mobilio di proprietà della Banda, fino al raggiungimento delle contese 151 lire. Non sappiamo come la questione sia stata risolta, ma era chiaro che c’erano contrasti politici tra il sindaco Tortorini e il presidente della Società Viganò. La querelle terminò nel maggio 1908 con l’erogazione del conteso contributo, ma nell’aria c’erano il cambio della presidenza della Banda e le elezioni amministrative che premiarono il combattivo Viganò.
III CAPITOLO : Presidente Giacomo Fezzi (1908 -1909)
Giacomo Fezzi nacque a Monselice il 1859, la sua famiglia proveniva dal Trentino ed aveva una ‘discreta possidenza’. Il Carturan nelle sue memorie precisa “che fu per molto tempo consigliere ed assessore comunale, nonché amministratore dell’Ospedale e della Casa di Riposo. Di ingegno discreto e versatile, gli piaceva dedicarsi alle opere edilizie e fu appassionato cultore del disegno; fu lui a disegnare i quadri dell’antico Castello di Monselice”. Morì nella nostra città nel 1932.
La nuova filarmonica
In una nota del 23 novembre 1908, 21 firmatari dichiararono di aver costituito, durante l’estate, un nuovo sodalizio bandistico, impegnandosi per un quinquennio all’osservanza delle norme sancite dallo statuto della Società filarmonica. I nuovi soci si impegnarono a versare ogni anno la somma di 12 lire: una lire al mese (l’equivalente di un chilo di carne o di 100 uova). Era stato nominato presidente Giacomo Fezzi. Tra i primi firmatari della nuova Società filarmonica troviamo Sante Scarso (a nome dell’associazione ‘I Figli del Lavoro’), Giuseppe Tosello, Celso Carturan, Angelo Simone, Giacomo Fezzi, Giuseppe Ferrari, Francesco Viganò, Angelo Galeno, Domenico Scandola, Luigi De Marci, avv. Gilberto Steiner, avv. Piovene, Francesco Olivetti, marchese Pietro Buzzaccarini, Carlo Mori, Alvise Tortorini, dott. Luigi Cerchiari, Società Operaia di Monselice, Giuseppe Busatto, Società ciclistica, Vittorio Marbeni, Antonio Peretti, Federico Sacco, conte Leopoldo Corinaldi e altri. La pratica doveva passare per il Consiglio Comunale per ottenere i contributi pubblici.
Elezione del Sindaco Francesco Viganò (1909-1912)
Nel febbraio 1909 si svolsero le elezioni comunali. Gli elettori premiarono il blocco cattolico moderato che elesse sindaco l’avv. Francesco Viganò, il presidente della Banda uscente. Evidentemente la carica di presidente della Banda portava bene a quanti avevano ambizioni politiche. Una delibera del 14 aprile 1909 – nella quale figura come nuovo sindaco l’avv. Viganò – riporta la richiesta dei filarmonici Giuseppe Bernardini, Vittorio Boato, Natale Margini, Luigi Mardellato e Enrico Valeri di poter usufruire degli strumenti del “disciolto corpo bandistico perché richiamati a prestare servizio in una festa popolare”. Nella lettera i firmatari precisarono che l’accoglimento della richiesta poteva essere “di buon augurio per dar vita alla filarmonica della quale la SV fu benemerito presidente”. Vista l’esplicita richiesta dei suoi ‘musicisti’, il Viganò accolse ben volentieri la supplica e concesse per 15 giorni l’uso degli strumenti della Banda.
Ricostituzione della Società filarmonica e relativi provvedimenti del 1909
Nella primavera 1909 si susseguirono le riunioni per ufficializzare la ricostruzione della Società filarmonica. Vennero distribuiti i moduli d’iscrizione a 216 famiglie che detenevano le azioni della precedente Società, nella speranza di ottenere ancora una volta il loro appoggio.
Il Consiglio Comunale fu convocato il 20 luglio 1909 per esaminare la proposta di ricostituzione della filarmonica monselicense, che doveva funzionare dal 1° luglio 1909 al 31 dicembre 1913. Presiedeva l’assemblea comunale il sindaco Francesco Viganò; tra i consiglieri comunali troviamo il conte Carlo Arrigoni degli Oddi, Archimede Brandelli, Angelo Caramore, Giacomo Fezzi, il prof. Angelo Galeno e i potenti fratelli Trieste.
In apertura di seduta il Presidente lesse il verbale dell’assemblea degli azionisti della Società filarmonica in data 3 luglio, nel quale si dichiarava ricostituita la Società “dopodiché, compiacendosi dell’avvenuta ricostituzione e ricordandone le fasi, fece risaltare come per aver modo di funzionare si rendesse necessario che il Comune mettesse a disposizione della Banda i fondi disponibili accantonati negli anni 1908-1909”. Il Consiglio Comunale approvò la richiesta e autorizzò la Giunta a devolvere a favore della Società filarmonica la somma di 2.000 lire e inoltre autorizzò lo stanziamento di 1.970 lire, già previsti nel bilancio 1908. Nello stesso provvedimento il Consiglio obbligò la ricostituita Società a “formare un corpo di Banda ben istruito e ben disciplinato disposto a presenziare con generale soddisfazione non solo nelle feste nazionali e cittadine ma anche quelle religiose, senza eccezioni, con l’obbligo di inserire questa raccomandazione nello statuto sociale”. Durante la discussione intervenne l’avvocato Galeno il quale raccomandò alla Giunta di richiedere la restituzione dello stipendio pagato al maestro nonostante lo scioglimento della Società. Consigliò poi di acquistare per la nuovi strumenti e soprattutto precisò con forza che “la Banda quando è pagata debba intervenire a qualsiasi festa locale senza distinzione di partiti”. Il Consiglio accolse la proposta del consigliere Galeno e deliberò di destinare la somma di 2.000 lire o quella maggiore che fosse necessaria per acquistare nuovi strumenti musicali.
Fallimento della nuova Filarmonica
Il 3 settembre 1909 con una nota inviata alla Giunta, il presidente della Società Giacomo Fezzi e il consigliere Sante Scarso rassegnarono le loro dimissioni, asserendo che “per i propri interessi non potrebbero operare con zelo al buon andamento della Società”. Purtroppo, dai documenti consultati, non siamo in grado di dare un senso alla loro scelta.
Il 14 settembre 1909 fu convocato il Consiglio Comunale. In apertura di seduta il presidente comunicò che erano dimissionari: Giacomo Fezzi (presidente) e Sante Scarso ai quali si era aggiunto il prof. Silvio Travaglia. Il Consiglio procedette, per evitare la paralisi della Filarmonica, alla nomina di Enrico Sabe a nuovo presidente provvisorio, mentre Giuseppe Scarparo e Odoardo Zanovello furono i nuovi componenti del direttivo. Come detto, e malgrado tutti gli sforzi dei dirigenti, i dissidi interni ebbero il soppravvento, tanto che nel 1910 la Banda fu sciolta.
La guerra con la Libia e la Turchia
Nel novembre del 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia e mosse alla conquista della Libia. Il patrio Consiglio il 28 novembre di quell’anno si “fece interprete presso sua Maestà il Re e il generale Caneva comandante delle nostre truppe, dei sentimenti augurali e di orgoglio della cittadinanza”, mentre la minoranza consigliare, costituita da socialisti, criticò l’intervento militare.
IV CAPITOLO
Presidente Raimondo Steiner (1912 -1916)
I fratelli Steiner (Raimondo e Gilberto) appartenevano a una delle più autorevoli famiglie della città. Raimondo era nato a Galzignano nel 1874, nel 1909 acquistò dal Ghirotti l’avviata farmacia situata in piazza Vittorio Emanuele II, nel 1930 si trasferì a Padova. Possedevano, tra l’altro, il famoso palazzo Steiner (o degli uffici), acquistato dal comune nel 1941 abbattuto da una bomba durante la seconda guerra mondiale, nel mese di marzo 1945. Il fratello Gilberto è stato tra i principali referenti politici locali del periodo fascista. Spesso le riunioni della Società filarmonica si tenevano nella loro farmacia.
La ricostituzione della Banda e la grande guerra (1912-1916)
Il 31 luglio 1912 il comitato provvisorio pro-banda, composto da Raimondo Steiner, Giuseppe Bernardini, Federico Seno e Angelo Simone informò il sindaco che si era svolta una riunione dei filarmonici alla quale parteciparono circa 30 persone con lo scopo di ricostituire l’istituzione bandistica. Durante la serata fu nominato maestro di musica Tommaso Fattorini, noto per la sua ‘valentia’ avendo costituito vari corpi filarmonici nei comuni limitrofi dando prova di meritevole soddisfazione da parte del pubblico. Senza mezzi termini il nuovo nucleo di volenterosi chiese alla Giunta gli strumenti e quanto necessario per esibirsi nella piazza comunale e la disponibilità di un locale presso le scuole elementari maschili dove effettuare le prove.
Il 16 settembre 1912 il presidente Steiner scrisse nuovamente al Sindaco ribadendo che il tentativo di “far sorgere in Monselice la Banda cittadina aveva dato risultati così lusinghieri che il non assecondarli sarebbe colpevole incuria”. In due mesi erano state raccolte (sottoscritte) ben 164 azioni mensili (ogni sostenitore doveva versare un piccolo contributo mensile per il funzionamento della Banda) e ciò – continuava Steiner – “sta ad attestare come Monselice senta il bisogno di scuotersi da un troppo lungo indecoroso letargo e come sia desiderio condiviso che la Banda cittadina non solo risorga ma si irrobustisca e prosperi”.
Il 20 settembre il nuovo comitato informò il sindaco che la Banda ricostituita iniziava subito le pubbliche comparse, con la precisazione che i concerti sarebbero terminati solamente nella stagione autunnale. Nella stessa nota Steiner sollecitò il ‘consueto’ sussidio di 2.500 lire, precisando che sarebbero state utilizzate per la ricostituzione del corpo filarmonico “che già da un mese si stava attivamente preparando nella certezza che la bella iniziativa, come ha incontrato l’appoggio del paese, avrà indubbiamente anche quello dell’amministrazione comunale”. Qualche giorno più tardi una nuova missiva informava il sindaco che il comitato aveva deliberato l’acquisto di due partiture per Banda “Passo di Corsa” e “Marcia di guerra” del maestro Arturo Zardini.
Caduta dell’amministrazione Viganò
Nonostante i buoni propositi la Giunta Viganò, per contrasti interni, fu costretta a rassegnare le dimissioni nel novembre 1912. La prima assemblea della Società filarmonica presieduta da Raimondo Steiner si svolse nella sala Garibaldi l’8 febbraio 1913. Durante la discussione fu approvata la sottoscrizione di un appello alla cittadinanza per ridare al paese una istituzione che “più per incuria di persone che per forza di cose” era cessata. Nei giorni successivi il comitato rivolse un caloroso appello alla cittadinanza per rendere possibile la ricostituzione del corpo filarmonico. L’11 aprile 1913 venne eletto il nuovo consiglio direttivo della Banda confermando nella carica Raimondo Steiner, il quale chiese subito al Comune un contributo di 2.500 lire e la restituzione degli strumenti e del mobilio che la cessata presidenza aveva lasciato in deposito al Comune con la precisazione che voleva iniziare i concerti già dal mese di giugno. Ma la restituzione non fu completa e il presidente informò il sindaco che giacevano presso la Società orchestrale ‘Giuseppe Verdi’ un contrabbasso e un flauto; presso la Congregazione di Carità una poltrona, tre panche, uno scrittoio e un tavolo; nella sede dell’associazione ‘Volontari ciclisti’ un armadio grande di abete. Ma ogni appello risultò vano e alla fine le associazioni risposero che i beni erano stati incamerati nelle loro sedi.
Nomina a sindaco del conte Taino Bonacossi (1913-1919)
Da maggio 1913 a dicembre 1919 ricoprì la carica di sindaco il conte, poi marchese, Taino Bonacossi al quale toccò il non lieve compito di reggere il governo cittadino durante la grande guerra. Nel frattempo dal 1° giugno 1913 la sede della Società filarmonica venne trasferita in via Garibaldi al civico n. 10, “presso un locale che meglio rispondeva sia per l’ampiezza che per il decoro ai molteplici bisogni dell’istituzione”. Dirigeva la Banda il maestro Fattorini che mantenne il suo posto per circa un anno e mezzo. Il corpo filarmonico fu ricomposto con i vecchi elementi, preparando adeguatamente nuove ‘reclute’. Al Fattorini successe il maestro Merlin di Vescovana, il quale rimase al suo posto per circa 5 anni. Nei primi di giugno iniziarono i concerti e ancora una volta il presidente segnalò al sindaco che durante le esibizioni della Banda musicale la consueta folla di ragazzini schiamazzava e disturbava i filarmonici, sollecitando la presenza dei vigili almeno fino al termine dei concerti. Il 12 maggio 1914 ben 394 cittadini sottoscrissero una richiesta al Sindaco affinché fosse prontamente deliberato un contributo di 2.000 lire a favore della Banda cittadina. Tra i firmatari troviamo i più autorevoli rappresentanti della Città, primo fra tutti, Raimondo Steiner, il commerciante Federico Sacco, il prof. Luigi Ghiraldini, il dolciario Carlo Dal Din, l’industriale Luigi Dainese e inoltre Luigi Branchini, Maria Pesavento, Rita Nicoli, Pietro Regazzoni e il consigliere comunale Vittorio Ghiraldini.
Dalla cronaca cittadina del 1914 e gli impegni della Banda
Nonostante la guerra si consumasse oltre il confine, la vita a Monselice si svolgeva nei soliti binari. Il 1° novembre si tenne la tradizionale ‘tombola dei Santi’ in piazza Vittorio Emanuele II, ora Mazzini. Il celebre gioco era organizzato dalla Società Operaia di Monselice che alla fine incamerava il ricavato devolvendolo al proprio fondo pensione. Il Comune sosteneva materialmente la manifestazione e provvedeva ad illuminare la piazza. Monsignor Prevedello invitò il sindaco Bonacossi e la Giunta comunale composta da Carlo Altieri, Pietro Buzzaccarini, Luigi Fagiuoli, Giuseppe Coletti, Luigi Bacchini alla solenne messa e al Te Deum che si svolsero presso l’abbazia (oggi Pieve di Santa Giustina) l’11 novembre 1914 per ricordare l’anniversario della nascita del Re Vittorio Emanuele III. La solenne celebrazione religiosa terminò con l’esibizione della Banda cittadina. Approfittiamo della circostanza per elencare gli impegni pubblici e religiosi tradizionali della Banda che, ad esempio, durante il capodanno doveva di buon mattino percorrere le vie cittadine al suono di allegre marce e nel giorno del Corpus Domini doveva accompagnare la processione religiosa con inni ‘adatti’. Più gravosi gli impegni ‘civili’ della Banda che si esibiva in piazza per ‘allietare’ le ricorrenze anagrafiche dei sovrani. In particolare, l’8 gennaio festeggiava la nascita della regina Elena; il 9 gennaio la morte di Vittorio Emanuele II; il 14 marzo la nascita di Umberto I; il 19 marzo l’onomastico di Pio X e di Garibaldi; la 1° domenica di giugno lo Statuto Albertino; il 2 giugno la morte di Garibaldi e la nascita di Pio X; il 20 luglio l’onomastico della regina madre; il 29 luglio la morte di Umberto I; il 18 agosto l’onomastico della regina Elena; il 15 settembre la nascita del principe ereditario; il 20 settembre era giorno di festa nazionale (Presa di Roma); il 24 ottobre lo sposalizio del Re d’Italia; l’1-2 novembre la nostra fiera di tutti i Santi; l’11 novembre – come detto – la nascita del Re e infine il 20 novembre la nascita della regina madre. Il cerimoniale prevedeva, a seconda dei casi, un concerto della Banda, l’illuminazione delle piazze e del municipio, qualche discorso, una messa in Duomo e…il pomeriggio libero per i dipendenti comunali. L’attività della Banda si integrava quindi con la vita politica, religiosa e comunitaria della città: per questo motivo l’attenzione dell’Amministrazione comunale per la Società filarmonica è stata sempre massima.
Costituzione delle frazioni di San Cosma, Ca’ Oddo, San Bortolo e Monticelli
Ai primi del novecento prendeva forma un grande progetto di riorganizzazione urbanistica del territorio comunale consistente nella creazione di quattro frazioni nelle zone periferiche del paese. Questo significava costruire quattro centri rurali dotati di chiesa, scuola e cimiteri, attorno ai quali poi le comunità avrebbero potuto crescere. E’stata una grande opera di urbanizzazione sulla quale poco si è scritto e che bisognerebbe studiare per le implicazioni sociali che comportò, come ad esempio la chiusura o l’abbandono delle grandi chiese del centro. Tra i molti provvedimenti ricordiamo l’approvazione il 29 Settembre 1914 da parte del Consiglio Comunale di un mutuo di 24.600 lire per la costruzione di una nuova scuola elementare a San Cosma, contando su un sussidio di 10.000 lire promesso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Servivano però scuole anche a Ca’ Oddo e a Monticelli. Il Conte Arrigoni degli Oddi affermò di aver avuto promesse dal Prefetto, dal Provveditore e direttamente dal Ministero che “se non per entrambi gli edifici, almeno per uno di questi sarebbe stata concessa la relativa somma”. Anche il vescovo Luigi Pellizzo, nel 1919, appoggiò il progetto riformando il territorio ecclesiastico di Monselice creando un’unica comunità cristiana al centro (quella del Duomo vecchio), ed istituendo una parrocchia per ogni frazione con una chiesa e canonica.
Il Sindaco Bonacossi impose nuovi obblighi per la Banda
Il 1° giugno 1915 il Consiglio Comunale, presieduto dal conte Taino Bonacossi, deliberò di prendere atto per alzata di mano dello ‘nuovo’ statuto della Filarmonica di Monselice e di erogare a favore della Società un sussidio annuo di 2.000 lire, in rate bimestrali posticipate, a condizione “che debba far parte del Consiglio direttivo della Filarmonica il Sindaco e un membro del direttivo da eleggersi ogni 3 anni”. Nelle stessa seduta furono fissati nuovi impegni pubblici per la Banda la quale doveva esibirsi sulla pubblica piazza, oltre che nelle circostanze tradizionali già viste, altre due volte al mese da aprile a novembre. In questo caso però il Comune precisò che era disposto a riconoscere un piccolo compenso straordinario, secondo la tariffa indicata nello statuto. In esecuzione a quanto stabilito, il Consiglio Comunale nominò Giuseppe Poletti a rappresentare l’amministrazione comunale nel direttivo della Banda.
Festa in villa per la Banda
Il 12 settembre 1915 la marchesa Buzzaccarini dalla sua villa in San Giacomo chiese alla Banda di intervenire a una festa di beneficenza, probabilmente per raccogliere fondi da destinare alle famiglie che avevano famigliari in guerra.
Resoconto della presidenza Steiner (1912 -1916)
Della presidenza Steiner ci è giunta al completo tutta la documentazione prodotta al termine del mandato, compresi i bilanci e i discorsi pronunciati. Questo ci consente di conoscere molto da vicino il funzionamento della Società filarmonica retta da un Consiglio di amministrazione (direttivo) composto da: Francesco Vergani, Federico Sacco, ing. Guido Antenori, Angelo Simone, (?) Ghiraldini, (?) Bertazzo, Sante Scarso e Carlo Dal Din. Il 16 luglio 1916, alle ore 19, in piena guerra, presso la sala Garibaldi furono convocati i rappresentanti dell’assemblea generale dell’Istituto filarmonico per approvare il resoconto morale, quello finanziario e la relazione dei revisori del conto. Riportiamo un po’ di dati.
Discorso di commiato del presidente Raimondo Steiner
[…] È risaputo che la società filarmonica di Monselice ebbe un non breve periodo di vita rigogliosa che va dal 1879 al 1900, ma poi per un complesso di circostanze che è inutile ripetere, dopo avere per qualche anno vissuto una vita travagliata da continue crisi che ne minarono le sue già fiorenti energie dovette al fine, un po’ per volontà di uomini, un po’ per forza di cose, cedere all’ineluttabile e la società fu sciolta. Così dalle gaie note che prima animavano la nostra piazza e costituivano il lieto convegno successe il silenzio melanconico, il paese stesso parve assumere un altro aspetto che risentiva di quella malinconiche gli strumenti musicali – che già venne fatto baldamente squillare le loro voci sonore e conobbero le soddisfazioni di altri tempi meno neghittosi e più felici. Questi strumenti ricoperti di annosa polvere e corrosi dal tempo dormivano o per meglio dire deperivano in un vergognoso e riprovevole abbandono. Ma Monselice sentì il vuoto e fu il germe di un desiderio che non molto dopo doveva tradursi nella realtà. L’opera del comitato provinciale sorto nell’ottobre 1912 per la ricostituzione del corpo bandistico, si svolse in condizioni favorevoli; seminò un terreno fecondo e alla semente corrispose dei frutti. Egli è che un centro come Monselice era fortemente sentito il bisogno di far rivivere una istituzione che ridondava a decoro ma non deve sottacersi che l’opera del comitato fu valorosamente coadiuvata da vecchi filarmonici i quali misero a profitto quella società. Il loro buon volere non di scompagnato anche dal sacrificio personale ed è per noi doveroso il riconoscerne il merito e additarli al vostro plauso. Vi accenneremo ora per sommi capi le varie fasi attraverso le quali la ricostituita società poté svolgere fino a oggi la propria opera. Le azioni sottoscritte a cura del comitato provvisorio raggiungessero il cospicuo numero di 145. Era un confortevole indizio del risveglio da una inconcepibile apatia. E fu solo coi mezzi costituiti dalle azioni che i soci affrontarono le prime spese di 378 lire utilizzate per riparare i vecchi strumenti. Subito dopo iniziarono lo svolgimento di regolari comparsi quindicinali sotto la guida di un maestro provvisorio scelto nella persona di Tomaso Fattorini. Nel marzo 1913 venne approvato dall’assemblea lo statuto e fu nominato il consiglio direttivo. Alla scuola si iscrissero subito un numeroso stuolo di allievi, ma alla frequenza non corrispose adeguatamente il profitto, come parimenti nel corpo filarmonico tanto che si rese necessario un cambiamento di direzione. Dopo un anno il maestro Fattorini fu sostituito dal sig. Carlo Carturan, professore dell’istituto musicale di Padova. Il giovane maestro fu assunto il 2 maggio 1913 sotto la sua direzione il corpo bandistico ottenne un maggior rendimento e profitto tanto che nella scuola allievi 15 musicisti furono promossi filarmonici effettivi. Certo le esigenze del pubblico sarebbero state maggiormente soddisfatte se il maestro avesse risieduto a Monselice, ciò che gli avrebbe permesso di dedicare ogni giorno alla scuola la sua attività, ma questo problema potrà essere risolto più avanti.
Spese della Banda (1912-1916)
La Banda annualmente gestiva attorno alle 2.750 lire e possedeva strumenti musicali per circa 3.000. Ogni anno spendeva 1.400 lire per lo stipendio del maestro; 30 lire per il salario al bidello; 70 lire per compensi ai filarmonici; 260 lire per affitto dei locali; 73 lire per l’acquisto di spartiti musicali; 213 per l’illuminazione; 260 per interessi e acconto per cambiale; 378 per acquisto e riparazione strumenti musicali; 5 lire per le varie trasferte che comportavano il trasporto degli strumenti, es. a Padova; 13 lire per vino e sigari ai filarmonici; 39 lire per completamento spesa gita comune.
Entrate della Banda (1912-1916)
Dalla festa del 12 settembre, 51 lire; dal Municipio compenso per la Festa dello Statuto, 50 lire; dal comitato festa Carmini, 70 lire; dal Municipio festa a Vittorio Emanuele III, 50 lire; contributo comunale, 538 lire; Società Operaia per compenso ai filarmonici per la tombola in piazza, 20 lire.
Sospensione per la guerra della festa dello Statuto Albertino
La festa dello Statuto Albertino si teneva in tutto il regno la prima domenica di giugno e voleva ricordare la concessione dello ‘statuto’ (quasi una costituzione) del regno effettuata dal Re Carlo Alberto il 4 marzo 1848 ai suoi sudditi piemontesi. Quella data fu considerata durante la monarchia come una nostra festa nazionale. Tuttavia la guerra in corso consigliò all’amministrazione comunale di sospendere tutte le iniziative pubbliche e di devolvere le relative 200 lire che abitualmente si spendevano a favore dei fanciulli poveri scrofolosi (malattia che colpisce i bambini malnutriti deformandone il viso) da inviarsi ai bagni marini. Deliberò però di mantenere viva la celebrazione della festa realizzando “la tradizionale illuminazione dei locali del municipio e col suono della Banda al mattino per le vie ed alla sera in piazza Vittorio Emanuele II”. Nella nostra città arrivavano sempre più spesso brutte notizie dal fronte e i feriti causati dalle sanguinose battaglie sull’Isonzo nelle quali perirono a decine i nostri soldati; già le prime bombe cadevano su Padova. Nei primi mesi del 1916 i monselicensi sotto le armi erano circa 800, mentre il numero della famiglie bisognose sussidiate dallo Stato erano quasi 500. Lo spettro della sconfitta si faceva ogni giorno più concreto. Il 20 gennaio 1918 arriverà nella villa di Lispida S.M. il Re con il suo quartier generale e vi resterà ben oltre la fine della guerra. Da lì partirono gli incitamenti alla resistenza, lì ebbe vivo alimento la fede nella vittoria, come ricorda con fin troppa enfasi il Mazzarolli. Nella grande guerra Monselice contò oltre 300 caduti, degnamente ricordanti nel monumento in marmo, opera del prof. Paolo Boldrin, inaugurato nel gennaio del 1926 sul piazzale intitolato ‘Della Vittoria’.
Fine della guerra mondiale
Il 3 novembre 1918 Monselice festeggiò la fine della guerra con una solenne messa al Duomo e con un concerto in piazza. Alla perdita dei suoi figli la cittadinanza doveva aggiungere i disagi provocati dal conflitto e da una grave crisi alimentare. A guidare il malcontento popolare furono i locali dirigenti del partito socialista: Angelo Galeno e Archimede Brandelli, entrambi attivi protagonisti nella gestione della Banda. La difficile situazione economica creatasi dopo la guerra spinse la Giunta a dare le dimissioni, subito sostituita dal prefetto di Padova con dei Commissari. Dal 1919 al 1921 Monselice assistette a numerosi episodi di violenza e di protesta, che videro contrapposti da un lato i proprietari, riuniti attorno all’associazione ‘Agraria’ di Augusto Calore e, dall’altro, i braccianti affiancati dalle leghe sindacali e dal movimento socialista. Il clima di tensione crescente si trasformò presto in tragedia. La sera del 24 settembre 1921 in piazza Mazzini fu ucciso Pasquale Usaggi da Montericco, aggredito dalla guardia del corpo di un tenente del fascio.
La scuola di violino
Nel primo dopoguerra fu istituita anche una scuola di violino, presieduta dal procuratore del re Vittore Carleschi; era diretta dal prof. Vittore Fraccon di Rovigo il quale veniva a Monselice quasi tutte le sere per l’insegnamento. La scuola durò alcuni anni. Il maestro Fraccon, modesto ma appassionato professionista, accolse nella sua scuola una trentina di allievi, alcuni dei quali provenienti dai paesi limitrofi. Tra i più virtuosi ricordiamo Vinicio Callegaro di Arquà Petrarca che “per la sua intelligenza e fine comprensione artistica dilettò, ancora ragazzetto, il pubblico di parecchie città tanto da essere chiamato, con compatibile esagerazione, il fanciullo prodigio. Altri allievi di quella scuola furono: Antonio Zaghi, Antonietta Tosello, Bruno Baso, Fedardo Temporin, Maria Gallo, Corrado Zuccarello, Bruna Giunta, Giuseppe Scarparo e Ugo Torre”.
Riaprono le scuole monselicensi
Le scuole ripresero a funzionare il 1° aprile 1919. L’esame di maturità scolastica si svolse il 15 luglio 1919, complessivamente si presentarono 553 alunni. Il 10 agosto 1919 il direttore didattico scriveva. “… Appare dannoso lo stato d’inquietudine in cui vive la Società dopo una guerra che ha sovvertito tutti i valori morali e una pace che non ne sa affermare di nuovi, né di vitali; e con la misera condizione intellettuale del popolo che lo rende inetto a valutare l’importanza della scuola nella società attuale. La situazione è aggravata dallo stato di smarrimento spirituale in cui si perdettero gli insegnanti, scarsi di fede nell’opera propria e nelle leggi che governano la scuola” . La prima guerra mondiale aveva lacerato le coscienze e la vita dell’Europa; ma al primo sarebbe seguito un secondo conflitto bellico, ben più tragico.
5° CAPITOLO : Presidente Raimondo Steiner (1919 – 1923) – 2° mandato
Elezioni delle nuove cariche sociali della filarmonica
Domenica 14 settembre 1919 la Banda militare eseguì, nel teatro cittadino, un concerto vocale e strumentale per raccogliere fondi per i soldati mutilati in guerra. L’organizzatore dell’evento fu il tenente Emilio Clave del 58° comando di fanteria. Da questa nota possiamo facilmente dedurre che la nostra Banda non era attiva. La guerra era finita su tutti i fronti, ma molti monselicensi erano ancora prigionieri o dispersi chissà dove. In città si sentiva la necessità di ritornare alla normalità, di dimenticare la terribile guerra. In molti speravano di risentire le note della Banda sulle piazze e per le vie del paese. Anche questa volta un gruppo di volenterosi si mise al lavoro per trovare tanti piccoli contribuenti in grado, con poco, di finanziare le attività della Banda. L’impresa riuscì e finalmente il 21 dicembre 1919 si svolsero le elezioni generali per il rinnovo delle cariche sociali dell’Istituzione filarmonica. Fatto lo spoglio, risultarono eletti: l’inossidabile Raimondo Steiner, prof. Cesare Ghiraldini, Archimede Brandelli, dott. Enrico Chiavellati, Sante Scarso e Severino Marzola. Il presidente Steiner chiese al Comune di nominare un membro del Consiglio Comunale con il compito di ‘rappresentare’ il governo cittadino nel direttivo della Banda, come previsto dallo statuto.
Monsignor Gnata (1920-1945)
Il 24 gennaio 1920 il vescovo Pellizzo nominò abate mitrato di Santa Giustina monsignor Luigi Gnata, già parroco di Galzignano; egli resterà alla guida dei fedeli della Rocca fino al 1945, anno della sua morte.
Alla ricerca di un locale per la Banda
Il 9 aprile 1920 il presidente Raimondo Steiner chiese al Commissario prefettizio che guidava il Comune di disporre un servizio di vigilanza durante le esibizioni dei Filarmonici, per contenere le grida dei monelli che infastidivano i musicisti. Il Commissario, dopo avere rassicurato il presidente, gli riferì delle lamentele della cittadinanza per il disturbo provocato alla popolazione dalle esercitazioni serali della Banda, facendogli notare che la sede per le prove doveva essere spostata in una posizione periferica della città. Qualche giorno più tardi il presidente Raimondo Steiner – raccogliendo il Consiglio del Commissario – chiese al Comune di poter usufruire, anche temporaneamente, di un nuovo locale come sede per la Banda e suggeriva uno dei magazzini comunali nella chiesa di Santo Stefano o un locale alla Regia Pretura. Il 31 maggio 1920 il Comune accolse la richiesta e deliberò di cedere all’Istituto filarmonico, in uso gratuito fino al 31 dicembre 1920, la navata di destra dell’ex chiesa di Santo Stefano “per l’istruzione dei bandisti a condizione che l’istituzione provveda alla pulizia e alla manutenzione del locale, rendendola responsabile di eventuali danni”.
Bilancio della Banda per l’anno 1920
Preciso e puntuale il presidente Steiner presentò al Comune il conto consuntivo per l’anno 1920 della Società filarmonica, regolarmente sottoscritti dal segretario Secco e dai due revisori: Giuseppe Ferrari e Guido Antenori. In sintesi l’Associazione scriveva nero su bianco che le entrate erano state 8.831 lire (contributi sociali 3.979 lire; il contributo comunale 4.329 lire; proventi diversi 377 lire). Le uscite ammontavano a 7.537 lire ( stipendio al maestro 2.760 lire; stipendio al segretario 720; salario al bidello 50; corrispettivo di esazioni, fitto locali, stampati ed oggetti di cancelleria 1.000; acquisto e copiatura della musica, acquisto e riparazioni strumenti 1518; trasporto piattaforma 100; spese varie 1389). I dati evidenziavano un passivo di 1.294 lire, ma tutti speravano che fosse il Comune a farvi fronte.
Elezioni comunali del 1920
Il 20 ottobre 1920 si svolsero le elezioni amministrative. Da una parte i socialisti con Angelo Galeno come capolista; dall’altra i popolari sorretti dagli agrari che sperimentavano una nuova alleanza coordinati dal conte padovano Leopoldo Corinaldi, un esponente di rilievo a livello provinciale, proprietario della Villa di Lispida. Il giorno della votazioni Monselice era presiediata da almeno un centinaio di uomini fra carabinieri e soldati a cavallo; fatto lo spoglio i risultati furono: 1.353 voti per la lista agrario-popolare e 1.348 per i socialisti. Galeno non partecipò alla votazione – forse per le intimidazioni subite in quei giorni – alimentando la delusione e i sospetti della sinistra monselicense.
Nomina del nuovo sindaco Leopoldo Corinaldi (1920-’25)
Il Consiglio Comunale nominò nuovo sindaco, con 20 voti a favore e 1 scheda bianca, il conte Leopoldo Corinaldi, in carica dal 20 novembre 1920 al 18 agosto 1925. I nuovi assessori furono: Pietro Uccelli (lavori pubblici), Edoardo Zanovello (commercio), Edoardo Caruso (sanità, igiene e beneficienza) e Mario Ramor (finanza e dazio). Dedicheremo un po’ di spazio al Ramor perché sarà, per almeno quattro anni, presidente della Banda cittadina. Il Corinaldi, di religione ebraica, aveva acquistato la villa di Lispida e produceva ottimi vini che commercializzava ovunque. In carica per 5 anni, la Giunta Corinaldi dovette affrontare la protesta delle forze di sinistra e la crisi del sistema liberale, poi abbattuto dalla dittatura fascista. Tra le iniziative del tempo segnaliamo l’approvazione di un progetto per la realizzazione di una zona industriale a Monselice (nell’attuale area ex ABB). Fatto il sindaco, il presidente della Banda si mise al lavoro per contattarlo con l’obiettivo di ottenere i tradizionali contributi senza i quali la Banda non avrebbe potuto operare. L’11 marzo 1921 preparò il terreno, informandolo che la Società filarmonica aveva ricevuto dal Comune incentivi, per gli anni 1917-1919, pari a 2.323 lire, mentre quello del 1920 ammontava a 2.000 lire. Nel frattempo Sante Scarso fu eletto dal Consiglio Comunale a rappresentare il parlamentino monselicense nel Consiglio direttivo della Società filarmonica per il triennio 1921-1923. Nel novembre 1921 fu bandito un concorso pubblico per un posto di maestro di musica. Il sindaco segnalò al presidente della Banda il maestro GB. Tenan di Rovigo. Ma sorsero subito dei contrasti – a noi ignoti – tra gli stessi componenti della Banda con il risultato che molti soci e suonatori abbandonarono l’Istituzione, pregiudicandone il funzionamento. La situazione non sfuggì al sindaco che accusò il Presidente di aver interrotto l’attività concertistica. La smentita arrivò nel giro di pochi giorni. Lo scambio di accuse terminò con la concessione alla Banda dell’ex chiesa di San Filippo, da utilizzare per prove musicali.
Nascita del partito Fascista a Monselice
Nel 1921 nasceva a Monselice il partito Fascista da una comune alleanza tra gli agrari e le prime squadre fasciste del movimento mussoliniano, presente per lo più nelle città urbane. Chiamate dagli agrari per impedire scioperi e tutelare il proprio lavoro, le squadre si resero protagoniste di numerosi atti di violenza contro la popolazione; qualche episodio si verificò anche a Monselice. Nell’ottobre del 1920, per vendicare un’aggressione subita dal giovane agrario Armidio Fornasiero, i fascisti organizzarono la prima spedizione punitiva nella zona. Nell’aprile del 1921 venne inaugurata a Monselice la locale sezione del movimento fascista, poi trasformatasi in sede del PNF, finanziata dagli agrari locali.
Il maestro Tenan di Rovigo guida la Banda
Il presidente della Banda Raimondo Steiner inviò il 1° agosto 1922 al sindaco copia del resoconto finanziario 1920 “scusandosi di non potere unire anche quello del 1921 in quanto non era ancora stato approvato dall’assemblea generale dei soci”. Con la stessa nota comunicò che dal 1° agosto era stato incaricato, per un anno, il maestro rodigino Giovanbattista Tenan di seguire il corpo bandistico. Il sindaco rispose seccamente che nessun accordo economico era intercorso tra le due istituzioni per la nomina del maestro e quindi le spese dovevano essere supportate dalla filarmonica. Nonostante l’atteggiamento diffidente del sindaco la Banda iniziò a lavorare tra mille difficoltà. Dal voluminoso carteggio di quel periodo trascriviamo una relazione sugli interventi in programma per ridare efficienza al corpo bandistico, prontamente inviata al Corinaldi: “Per primo il Consiglio direttivo deliberò una graduale ricostituzione del corpo eliminando tutto ciò che era in contrasto con il vero indirizzo dell’istituzione al fine di mettere in funzione una scuola di allievi con buona e seria disciplina in modo da avere in poco tempo un corpo bandistico ben ordinato. Il numero degli allievi frequentante l’istituzione è abbastanza considerevole e il maestro Tenan con tenacia e amore seppe ottenere in breve tempo soddisfacente profitto. Nonostante le incomprensioni, il 29 novembre 1922 la Giunta presieduta dal conte Leopoldo Corinaldi erogò un contributo di 4.000 lire alla Banda precisando “che la metà venisse corrisposta subito, la rimanente al termine dell’esercizio finanziario”. L’11 marzo 1923 la Società filarmonica chiese al sindaco un nuovo contributo per acquistare nuovi strumenti per un importo di 3.000 lire, al fine “di facilitare l’inizio dei pubblici concerti”. La Giunta ne concesse 1.500 quale anticipo per l’anno 1923: “onde avere il tempo per accertare se la sottoscrizione dei soci sarà tale da integrare il fabbisogno per il funzionamento della Banda e della scuola di musica”, precisò il Corinaldi, sempre cauto e un po’ diffidente nei confronti della Banda. Con la bella stagione iniziarono i concerti in piazza Vittorio Emanuele II; è rimasta memoria di una esibizione della Banda avvenuta alle ore 21 del 15 luglio 1923 per la quale il presidente chiese un servizio di vigilanza “onde proibire alla ragazzaglia di trastullarsi sulla piattaforma (palco)”. Il 27 luglio 1923 la Giunta municipale accolse la richiesta della Società polisportiva che da tempo chiedeva la sala della chiesa di Santo Stefano per adibirla a palestra di ginnastica e spostò la Società filarmonica, che utilizzava lo stesso spazio, nell’immobile appena acquistato dal Comune denominato ‘San Filippo’ (l’attuale via San Filippo Neri) in cui si trovava una chiesetta appena restaurata. Il Comune si fece carico di tutte le spese necessarie.
Termine del mandato al presidente Raimondo Steiner
Come da statuto, scadeva nel 1923 il mandato del presidente Steiner, il direttivo della Filarmonica iniziò subito le pratiche per ricostruire un nuovo sodalizio. Non era una cosa semplice; bisognava prima trovare un buon numero di soci sostenitori che si obbligassero a versare una lira al mese per tre anni o cinque anni. Il 23 agosto 1923 il vice-presidente della Società filarmonica Cesare Ghiraldini avviò l’iter chiedendo al sindaco che gli venisse concesso per domenica 26 agosto l’uso del locale al piano terra della stanza attigua della caserma delle guardie municipali per la convocazione dell’assemblea dei soci (un edificio nell’attuale via Roma).
I monselicensi disertarono le votazioni per il rinnovo delle cariche sociali
Il 6 settembre 1923 il vice presidente convocò l’assemblea della Società filarmonica per procedere al rinnovo delle cariche sociali. Purtroppo parteciparono alle votazioni solamente 29 soci – di questi 26 erano gli stessi filarmonici – un terzo degli aventi diritto. Dallo spoglio delle schede risultarono comunque eletti: Cesare Ghiraldini, Archimede Brandelli e due nuove figure: Daniele Soldà e Pietro Norsiano. Ma i nuovi componenti del direttivo nell’esaminare i documenti contabili maturarono la decisione di rassegnare le dimissioni motivandole ufficialmente con la mancanza di mezzi per provvedere al funzionamento della Banda e rimisero nelle mani del sindaco il futuro dell’istituzione. Diligentemente ricordarono al sindaco che rimanevano da pagare lo stipendio al maestro di lire 350 e il salario al bidello di 20 lire.
Licenziamento del maestro Tenan
Come abbiamo visto il maestro Tenan era stato assunto per un solo anno, ma vista la difficile situazione che si era creata, il direttivo della Banda non gli rinnovò il contratto e lo licenziò il 20 ottobre 1923. Ricevuta la lettera di licenziamento, il maestro protestò vivacemente e chiese un congruo indennizzo minacciando, in caso contrario, di “ricorrere agli atti giudiziari”. Il sindaco Corinaldi rispose seccamente che il maestro “aveva già avuto delle agevolazioni non dovute” e le nuove richieste gli sembravano inopportune. Come promesso il maestro si fece aiutare da un avvocato per far valere i propri diritti, ma non ottenne nulla. Per evitare altre lungaggini il 16 novembre 1923 il sindaco Corinaldi ordinò ai componenti della Banda di consegnare, entro 3 giorni, gli strumenti musicali in dotazione. Risposero prontamente Angelo Girotto che consegnò il clarino e il berretto, Amedeo Margine il bombardino, Alessandro Molari il trombone, Filippo Sattin il clarino e il berretto, Ottavio Tosello il contrabbasso ed Ernesto Valeri il violoncello. Vista la penosa situazione della Banda, il professore di violino Vito Fraccon né approfittò e chiese di poter usufruire dei locali già occupati dalla Società per poter continuare le lezioni di violino e viola ai suoi allievi. Ma il Corinaldi, che sicuramente aveva in mente altri progetti, rigettò la richiesta e negò pure all’ex componente della Banda Natale Margini la concessione in uso del bombardino, di proprietà della filarmonica.
Aumento del dazio e rivolta degli esercenti
Il quotidiano Il Veneto dei primi di gennaio del 1924 riportava la rivolta dei negozianti monselicensi allarmati dalla proposta comunale di appaltare ad una ditta privata la riscossione del dazio. A Roma, nel frattempo, il Gran Consiglio del Fascismo nominò un comitato elettorale (composto da Michele Bianchi, Cesare Rossi, Giacomo Acerbo, Aldo Finzi e Francesco Giunta) che doveva formare una lista di 356 candidati da presentare alle elezioni politiche del 29 gennaio 1924. Dal lavoro di questo comitato uscirà il ‘famoso listone’, nel quale si raccoglieranno oltre ai fascisti anche la maggior parte dei liberali e molti cattolici.
Le elezioni politiche del 1924
Il 23 marzo 1924 Mussolini convocò a Roma tutti i sindaci d’Italia per informarli sul suo programma politico, mentre sulle piazze italiane furono organizzati dei comizi per promuovere la causa fascista. Da noi, dal poggiolo del municipio intervenne il sacerdote don Antonio Simionato suscitando – dicono i giornali – “grande entusiasmo tra la gente”, anche perché era la prima volta che un sacerdote si schierava apertamente in favore del governo. La piazza cittadina era diventata una ‘selva’ di bandiere, gagliardetti, inni, canti patriottici, acclamazioni al Re e a Mussolini. Il giorno prima della votazione a Monselice la campana della torre civica chiamò a raccolta il popolo per gli ultimi appelli. La vittoria della lista nazionale era prevista con largo margine anche nella nostra città. In questo clima di esaltazione collettiva si svolsero le elezioni politiche del 6 aprile 1924 che videro in Italia la vittoria del ‘listone’ fascista con il 65% dei voti. Furono eletti deputati per la provincia di Padova Giovanni Battista Alezzini, Emilio Botrero, Augusto Calore e Giovanni Milani. Alezzini, che tra un po’ citeremo, prima della grande guerra era stato insegnante elementare a Valle S. Giorgio con l’appoggio del Duce era diventato un esponente autorevole del fascismo padovano. A Monselice però la vittoria della lista fascista fu di stretta misura tanto che Giovanni Alezzini intervenne il 5 maggio 1924 con una nota indirizzata al sindaco, al Fascio di combattimento, al Fascio femminile e a Gilberto Steiner (responsabile politico del partito fascista a Monselice e fratello di Raimondo), anticipando misure urgenti a proposito dello scarso risultato elettorale che si concretizzarono con numerose ‘ginniche adunate’ nei sabato pomeriggio in piazza Vittorio Emanuele II.
VI Capitolo – Presidente Mario Ramor (1925 -1929)
Mario Ramor, nato a Padova nel 1882, era l’agente e il factotum dell’azienda del conte Oddo; secondo il Carturan era “intelligente, furbo ed attivo”. Dopo qualche anno di proficua collaborazione, il Conte lo licenziò per divergenze nella gestione dei suoi beni. Con l’arrivo del podestà Mazzarolli, Ramor abbandonò Monselice e si ritirò a Padova dove morì nel 1933.
La ricostruzione della Banda di Mario Ramor (1925-1929)
Una deliberazione della Giunta municipale del 22 giugno 1925, presieduta dal sindaco Leopoldo Corinaldi, ci informa che l’assessore al bilancio Mario Ramor chiese di essere incaricato di ricostruire la Banda, con la precisazione che provvederà con gli stessi allievi e suonatori alla retribuzione del maestro”. La Giunta fece propria la proposta dell’assessore Ramor nella convinzione che “quando la Banda si sarebbe rimessa in efficienza riuscirà facile ricostituire anche la Società e ottenere i fondi necessari al buon funzionamento”; tuttavia nell’atto deliberativo si sottolineava “che il Comune non avrebbe sostenuto alcuna spesa finché la nuova Banda non sarebbe stata in condizione di prestare servizi musicali”. Al nuovo presidente furono affidati tutti gli strumenti musicali che erano stati depositati in Comune. L’unico riferimento alla sua attività bandistica la troviamo nel 1926 durante un discorso sui ‘Natali di Roma’ tenuto da don Luigi Barbierato, parroco di Ca’ Oddo, terminato al suono dell’inno ‘Giovinezza’. Per la nostra storia segnaliamo che l’assessore cav. Mario Ramor era diventato il capo del gruppo caoddano (gruppo di fascisti abitanti nella frazione di Ca’ Oddo) ed aveva assunto virtualmente le redini della nuova amministrazione comunale. Il 13 novembre 1925, la Giunta erogò un contributo di 3.000 lire alla Banda del Ramor, ma per problemi di bilancio ne fu erogato solo la metà, scatenando l’ira del Presidente che portò il Comune in tribunale, come vedremo tra un po’.
Insediamento del podestà Annibale Mazzarolli
Tra le novità amministrative del periodo fascista c’era anche la sostituzione del sindaco con i podestà di nomina prefettizia. Ambizioni, speranze, illusioni si misero in moto un po’ ovunque. Anche per Monselice la scelta non era delle più semplici. I Caoddani durante una riunione di amici e conoscenti avanzarono la candidatura del loro capo, il cav. Mario Ramor e inviarono propri delegati a Padova dal federale Alezzini per sostenere il loro candidato. Ma è stato tutto inutile. A prevalere fu Annibale Mazzarolli che ricoprì la carica di podestà ininterrottamente per sedici anni. La mancata nomina di Ramor causò la fine della sua carriera politica e il lento declino della Banda. L’insediamento del nuovo podestà ebbe luogo il 3 aprile 1927. Alle 9.30 dal piazzale della stazione partì il corteo che accompagnò il podestà in sala Garibaldi, sede del Consiglio comunale, dove avvenne il discorso ufficiale durante il quale Mazzarolli precisò … “che avrebbe tagliato tutte le spese superflue” per risanare il bilancio comunale. Fu di parola e la prima associazione a cui negò ogni finanziamento fu proprio la Banda.
Il Ramor porta il Comune in tribunale
Nel frattempo la lite tra il Comune e il Ramor, causata dalla mancata erogazione della seconda metà del contribuito alla Banda, arrivò in tribunale nel novembre 1927. Il Comune resistette in giudizio contro l’ormai ex presidente della Banda cittadina. Dopo lo scambio dei primi atti ufficiali prevalse il buon senso da entrambe le parti e il l5 aprile 1929 l’avvocato del Ramor, Giovanni Carestiato, informò Mazzarolli che il suo assistito ritirava la denuncia a condizione che il Comune versasse subito il rimanente contributo alla Banda. Infatti poco dopo il podestà deliberava in data 12 aprile 1929 l’erogazione del sospirato contributo di 1.500 lire alla Società filarmonica “nelle mani del sig. cav. Mario Ramor”. Ricevuto il contributo il presidente iniziava una nuova controversia con il Comune perché si rifiutava di restituire gli strumenti della Banda e chiedeva che fosse un rappresentante dell’amministrazione a ritirarli personalmente dalla sua abitazione. Ne seguì una folta corrispondenza che durò per qualche mese e alla fine prevalse, anche questa volta, il buon senso. Ma la Banda ne usciva distrutta e senza nessun appoggio politico. Lo apprendiamo anche da una nota del 15 luglio 1929 inviata dal maestro di musica Domenico Strazzabosco di Vicenza al podestà Mazzarolli nella quale precisava: “sapevo che in codesta cittadina, anni or sono, esisteva un corpo bandistico che ora non vive più, ma sono tuttora conservati e tenuti sotto di lei tutti gli strumenti per la formazione del corpo bandistico. Io in qualità di insegnante e direttore della Banda di Asiago chiedo se fosse possibile ricostruire il corpo bandistico con elementi giovanili, speranza buona del domani. Le mie pretese sono assai modeste e preciso che in questo modo sarei sollevato dalla disoccupazione, avendo buona volontà al lavoro. Sono ex combattente ed ex mutilato di guerra.” Il podestà rispose che purtroppo prima di istituire la Banda era necessario “risolvere il problema del finanziamento” e l’insolita richiesta del ‘ex’ mutilato di guerra non ebbe seguito. Durante il suo mandato il podestà era ossessionato dai problemi di bilancio, tanto da limitare o eliminare tutte le spese che lui riteneva superflue. Forse per questo motivo della Banda non sentiremo più parlare fino alla fine della seconda guerra mondiale. Nel frattempo le piazze di Monselice – ma anche quelle italiane – furono occupate dalle manifestazioni del regime e altre ‘musiche’ sostituirono le festose note della Banda con i risultati che tutti conosciamo. Il 3 settembre 1929 il maestro della scuola di musica ‘G. Puccini’ di Monselice, prof. Vito Fraccan, chiese di utilizzare la grancassa della oramai ex scuola filarmonica per l’orchestra della locale scuola di violino. Durante il fascismo esisteva una scuola di strumenti ad arco da cui uscirono numerosi elementi che formarono negli anni trenta il circolo mandolinistico. In quel periodo agiva anche l’orchestra ‘Labbra’ o ‘Accorsi-Labbra’ che si guadagnava da vivere suonando nei veglioni o nelle serate danzanti. Molti monselicensi si cimentavano nella composizione, primo fra tutti Mario Accorsi il quale, con i vari Danese e Simionato, scrisse molte opere e inni patriotici.
Raduno bandistico a Teolo nel 1933 senza Monselice
Nella primavera del 1933 ebbe luogo un ‘raduno’ ovvero un concorso bandistico e corale a Teolo riservato ai comuni Euganei al quale parteciparono le Bande di Tramonte, Teolo, Praglia, Montemerlo, Vo’, Galzignano, Selvazzano e Arquà Petrarca. Altri concorsi bandistici furono organizzati in quegli anni a Praglia, Abano, Ponte di Brenta e videro la partecipazione non solo dei complessi dei Comuni dei Colli, ai quali si aggiunse Cinto Euganeo, ma anche Bande provenienti da altre province come Schio e Nove di Bassano che ottennero a Praglia, rispettivamente, un primo e un secondo premio.
La nuova Casa del Fascio a Monselice
Nel marzo del 1935 il Fascio monselicense esprimeva in modo tangibile la sua forza inaugurando la grande Casa del Fascio dotata di un teatro per la filodrammatica e per le serate danzanti, di una sala di lettura, di campi da bocce e da tennis e di ampi spazi per ospitare le numerose organizzazioni e i sindacati del regime. L’edificio era diventato il centro culturale e di svago della città, ed era controllata direttamente dai gerarchi fascisti del tempo.
La triste testimonianza del Carturan sui beni della Banda
Scriveva Celso Carturan, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. “Ora gli strumenti bandistici consegnati per la fine del Sodalizio al Comune giacciono abbandonati ed incustoditi nei magazzini municipali e la ricca raccolta di partiture musicali è in balia dei topi per passare indubbiamente e presto nelle panche dei venditori ambulanti, destinate ad incartocciare la merce venduta poiché è destino per Monselice che tutto quanto si attiene ad archivi o raccolte municipali, debba andare immancabilmente disperso”.
Cenni sulla storia della Banda nel secondo dopoguerra
Concludiamo la nostra storia con un veloce riassunto delle vicende bandistiche degli ultimi anni, precisando che ritorneremo sull’argomento appena possibile. La Banda fu ricostruita quasi dal nulla il 2 ottobre 1949, grazie agli sforzi del presidente Antonio Tanci e del maestro Pietro Ruzzarin che riuscirono ad interessare ben 115 allievi. Dirigenti e maestro si impegnarono con passione e competenza per trovare il giusto coordinamento e affiatamento. La prima uscita ebbe luogo il 29 aprile 1950, dopo soli sette mesi di prove. Nel 1955 al maestro Ruzzarin subentrò il maestro Mario Accorsi (1899-1978) al quale si devono numerose strumentazioni, soprattutto di vecchie canzoni. Accorsi profuse ogni energia nell’educare alla musica i giovani monselicensi e più in generale va segnalato per la sua lunga attività nel campo musicale. Degne di nota sono state le sue partecipazioni al ‘Maggio monselicense’ e in particolare all’indimenticato concerto del 17 giugno 1972 durante il quale diresse la corale “Città di Monselice” nella pieve di Santa Giustina. Il Consiglio Comunale il 16 giugno 1972 gli conferì una medaglia d’oro con una pergamena. Nel 1960 la direzione venne affidata al giovane maestro Ulderico Lovato che seppe animare anche una buona scuola con la quale alimentò la Banda di giovani leve, mentre la presidenza passò a Giovanni Andolfo. Nel 1968 fu costituito il gruppo Majorettes per volontà di Olivo Bettin. Per Monselice fu una novità che attirò molte ragazze incuriosite dalle musiche americane e dai ritmi moderni.
Nell’agosto del 1973 al maestro Lovato successe il maestro Orfeo Lion il quale operò per il rinnovamento del repertorio fino al termine del suo incarico avvento nel 1982. Poco dopo il compito di dirigere la Banda fu affidato allo strumentista Pietro Pietrobon. Nello stesso anno la presidenza passò a Benito Turrin e già nell’ottobre dello stesso anno venne chiamato a dirigere il giovane maestro Francesco Belluco. Nel 1988 il gruppo bandistico era composto da 25 strumentisti e da 30 majorettes con un repertorio tradizionale e moderno; si esibiva in concerti, sfilate, manifestazioni civico-patriottiche e religiose. Il 15 giugno 1989 venne eletto presidente Alberto Polato. Poco dopo fu rinnovato anche lo statuto nel quale, al punto n.4, furono ulteriormente precisati gli scopi della Banda che consistevano nel “promuovere gratuitamente tra i giovani la conoscenza della musica attraverso corsi di orientamento musicale che insegnino l’uso di strumenti a fiato e percussione”. L’11 ottobre 1991 fu eletto presidente Giorgio Manin, seguito nel 1995 da Massimiliano Lombardo. Poi si alternarono varie persone tra cui ricordiamo Claudio Bagno, Virgilio Vallerini, Beppino Bevilacqua e Fabrizio Baratella. (Tutti i diritti sono riservati all’autore).
Bibliografia consultata:
- CARLESSO, Monselice dall’Unità alla Repubblica in Monselice nei secoli (a cura di A. RIGON). Monselice 2009, p. 95-117;
- CARNIELLO, Monselice tra Sette e Ottocento in Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto (a cura di A. RIGON). Monselice 1994, p. 301-331;
- CARTURAN, Storia di Monselice, dattiloscritto di 3399 cartelle (fine stesura 1950). Disponibile in formato PDF nel sito della Biblioteca comunale.
- MAULI, D. VICENTINI, Veneto bandistico. Verona, 1985;
- MERLIN, Storia di Monselice. Padova 1988;
- MERLIN, Il ventennio fascista in Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto (a cura di A. RIGON). Monselice 1994, p. 333-377;
- ROSSETTO, Da Monselice a Mauthausen. Monselice 2005;
- ROSSETTO, Monselice nella seconda guerra mondiale. Monselice 2009;
- ROSSETTO, Da Goffreddo Pogliani a Giuseppe Bovo. Quattro sindaci per ricostruire Monselice (1945-1954), “ Terra d’Este”, 40(2010), p.147-164;
- SARTORI, Fra Gontarino. Monselice 1880;
- SILVANO, Austria a Monselice 1815-1866 in Monselice nei secoli (a cura di A. RIGON), Monselice 2009, p. 79-93;
- VALANDRO, Monselice e gli anni del Risorgimento. 1848-1866. Monselice 2011;
- VERONESE, Storia del Gabinetto di lettura di Monselice. Tesi di laurea discussa presso l’Università degli Studi di Venezia, a.a. 2001-‘12, relatore prof.ssa Dorit Raines;
*Versione estesa della storia della banda di Monselice
Il testo impaginato con le foto in PDF nel link [ clicca qui…]
© 2024 a cura di Flaviano Rossetto
Vedi anche:
Per news su Monselice https://www.ossicella.it/
Per arte e architettura https://www.ossicella.it/monselice/
Per storia di Monselice https://www.monseliceantica.it/
Per l’archivio storico https://www.monseliceantica.it/archivio/
Info e segnalazioni scrivimi qui flaviano.rossetto@ossicella.it