Un bel saggio di Franco Fasulo illustra la dinamica di sviluppo della popolazione di Monselice negli ultimi due secoli del dominio veneto. Questo ci permette di ricostruire le linee di tendenza dello sviluppo demografico utilizzando come fonti documentarie le visite pastorali. Le stime dei parroci infatti, sembrano le fonti più ragionevoli, anche se rimangono dubbi sulla totale attendibilità di questi dati. Nel 1587, la visita vescovile avvenuta dopo la grande epidemia di peste del 1576, consente di conoscere il numero delle quattro parrocchie (S. Paolo, S. Martino, S. Tommaso e S. Nicolò di Marendole), fatta eccezione per la quinta parrocchia: S. Giustina, pieve e Collegiata, per mancata organizzazione. Nel 1587 S. Paolo raggruppa 3400 monselicensi di cui 1800 “da comunione”, S. Martino 1100, S. Nicolò di Marendole 500 e S.Tommaso 280. Nel 1595 S. Giustina ne raggruppa 1500 di cui 800 “da comunione”. Ma come sono delimitati i confini delle varie Parrocchie?
Per localizzare i confini delle Parrocchie si è ricorsi all'”inquisizione del territorio” del 1686: San Paolo include i capifamiglia delle contrade di “Piazza e Arzerino”, “Capo di ponte”, “Pozzo catena”, i borghi di S.Giacomo, “Carubio” e di Costa e Calzinara, i “comun” di “Isola verso Marendole”, di “Isola verso il monte” (Montericco), di Molarediemo, di Savellon di Bagnarolo “sive de Mulini” , di Savellon ” del retratto di Lispida” e di Vò dei Buffi. S. Martino “al pian” comprende gli abitanti della contrada omonima e delle “ville” di “Arzer di mezzo” e di Vetta, del borgo Costa e Calzinara e del “comun di Stortola”.
- Nicolò di Marendole raggruppa gli abitanti di Motta, Ronchi e Schiavonia “di qua del canale” (Bisatto) di Merendole “di là del canale” , qualche famiglia di Molarediemo e di Vò dei Buffi.
- Giustina ingloba gli abitanti fuori porta Valisella verso i confini di Pozzonvo, Pozzovegian fino alla fossa monselesana lungo la strada che va a Gambarara; quelli che seguono la strada degli Osellieri fino alla muraglia, con S. Bartolomeo e Gambarara; quelli di Camarane Fregose, Carpanedo, Molarediemo, Campestrin e Albari “fino alle saline”.
San Tommaso racchiude la parte residua di borgo Costa e Calzinara e di Calcinara “dietro il monte”. Le visite pastorali, non distinguono i fedeli tra maschi e femmine ma solo tra “anime da comunione” e “putti” (piccoli). Alla fine del XVI secolo si può constatare l’estrema giovinezza degli abitanti monselicensi : gli adulti sono 2900 su 5280. Nel 1595, con il conteggio effettuato nella parrocchia di S.Giustina il numero degli abitanti ammonta circa a 6800, una cifra considerevole. Nel 1616 si può osservare un declino demografico soprattutto a S.Paolo che perde un terzo dei suoi fedeli, principalmente bambini ; e un incremento a S.Martino che appare in sviluppo. Tuttavia nel XVII, nel periodo antecedente alla peste del 1630-1631 mancano dati complessivi per tutte e cinque le parrocchie. Il primo vero bilancio può essere tentato nel 1644: S.Giustina conta 1330 residenti, S.Paolo 2500, S.Tommaso e S.Nicolò registrano un notevole calo.
Nel 1657 quasi tutte le parrocchie rivelano una ripresa, infatti S. Paolo raggiunge 2600 monselicensi, S. Martino 1800, S. Nicolò 500, S.Giustina 1213 (il numero fa riferimento solo alle quattro monsionerie, senza la stima dell’arcipretato). S. Tommaso invece conferma i dati della visita precedente. Complessivamente Monselice supera la peste conservando la sua popolazione. Lo stesso non si può dire di Padova che nel 1632 vede la popolazione dimezzarsi e che riesce a ritornare ai livelli precedenti la moria solo nel 1648, con una crescita costante anche negli anni successivi. Anche a Monselice il progresso demografico continua, lo sviluppo è legato all’agricoltura al commercio e alle “arti cittadine”. Nel 1713 è possibile conoscere per la prima volta la popolazione delle cinque parrocchie: S. Paolo raggruppa 3100 persone di cui 2100 adulti, S.Giustina 2542, S. Martino 2000 di cui 1225 adulti, S.Tommaso 510. Solo S.Nicolò di Marendole registra una lieve diminuzione nella popolazione complessiva.
In quell’anno Monselice tocca il vertice demografico “ancien régime” con 9000 abitanti, poco meno di Treviso e più di Bassano. Monselice ha una popolazione giovane. La morte precoce nel 1700 era molto diffusa, uno su tre moriva nel primo anno di vita. La scomparsa della peste non bastava per innalzare l’aspettativa di vita: la fame, il freddo, la sporcizia, la povertà mietevano altrettante vittime. Il numero sale a 9035, forse per l’arrivo del mais che permette di sopravvivere, nonostante la malnutrizione, la pazzia e la pellagra. Nel 1748 la crescita si arresta. Alcune famiglie senza terra e/o senza lavoro emigrano a cercare polenta. Gli uomini riescono più facilmente a trovare un’occupazione mentre per le donne si prospetta la prostituzione, la servitù o il convento. In occasione della visita pastorale del 1762 la popolazione complessiva di Monselice registra una perdita di un migliaio di fanciulli mentre gli adulti rimangono ai livelli del 1713 con un lieve incremento. Tra le singole parrocchie solo S. Paolo è in minima espansione (+63).
Grazie all’arrivo dell’anagrafe veneta si poterono allora conoscere il numero delle famiglie, il numero dei maschi ripartiti in tre categorie (maschi fino a 14 anni, uomini sino ai 60, e anziani). I monselicensi (8110 persone) sono la stessa quantità rilevata 4 anni prima, con +75 anime. Le famiglie sono 1864, di cui 11 “civili”, tutte residenti nell’arcipretato di S.Giustina, le altre ordinarie. Una famiglia media ha dimensioni ridotte, poco più di 4 componenti. Le donne (4154) prevalgono nettamente sui maschi, gli anziani sono rari. Il 64.03% dei maschi si colloca nelle fasce più produttive (15-60 anni) e i vecchi sono di supporto alle attività lavorative degli adulti. Muoiono ancora parecchi bambini. Nonostante tutto la popolazione aumenta in modo non omogeneo: Monselice arriva a 8376 cittadini (+266) e le famiglie civile risultano meglio distribuite nelle parrocchie, non più concentrate solo a S. Giustina. A S. Paolo vi è un numero consistente di artigiani, circa la metà dei censiti, poi vi sono barcaroli, fabbricanti di armi da taglio, servitori, questuanti, braccianti, carrettieri e mulattieri.
I benestanti del 1787 sono 273 su 3145 persone, 280 mediocri, 1842 miserabili 592 bambini. La mancata rivoluzione demografica a Monselice ha cause economiche: nel 1790 ci sono 8368 monselicensi censiti. La terra appartiene gran parte alle famiglie nobili padovane o ai monasteri, le attività industriali non riescono ad assorbire la forza lavoro. I morti di inedia o freddo o “mal di petto” attestati dalle parrocchie sono indice di un profondo malessere che tocca anche le città limitrofe e Padova non riesce a superare i livelli demografici dell’età carrarese sino alla caduta della Repubblica di Venezia.
Le crisi demografiche si infittiscono dal 1764 in tutta la terraferma veneta per le cattive condizioni climatiche e anche per una strutturale incapacità dell’economia di risolvere i problemi dello sviluppo. I tassi di natalità restano elevati (tra 48% e il 57%), l’età per il matrimonio è molto bassa soprattutto per le donne. Monselice non riesce più a raggiungere le 9035 anime del 1713. Le prime novità si presentano nel catasto napoleonico e austriaco. Per i braccianti, però, non mutano le condizioni di vita. La transizione demografica a Monselice, come nel resto del Veneto, è un fenomeno di lunga durata. Il progresso fu difficile e contrastato perché calato in un contesto economico molto ostile.
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Tratto dal saggio di Franco Fasulo, La popolazione tra Cinquecento e Settecento in Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto. A cura di Antonio Rigon. 1994. p. 291-298. [Clicca qui…]
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