Ogni regione italiana ha le sue caratteristiche; sono presenti vari tipi di vestiario a seconda del clima, del mestiere, delle condizioni sociali, dello stato civile e delle particolari produzioni tessili o artigiane presenti nel territorio. È possibile conoscere dallo studio del costume popolare il proprio paese, i suoi atteggiamenti e le sue tendenze spirituali, fino a giungere alla ricostruzione del suo carattere etnico e storico, e alla constatazione, di tratti comuni nella popolazione italiana tra Nord, Centro e Sud. Già agli inizi dell’Ottocento il costume popolare va scomparendo, quasi tutti gli abitanti iniziano a vestire l’abbigliamento da città, come scrive Pietro Chevalier, disegnatore, incisore e scrittore dell’Ottocento, ad eccezione di Arquà Petrarca, un borgo in provincia di Padova. Chevalier in un opuscolo pubblicato nel 1831 riferisce che gli arquatensi sono: «d’indole, di pronuncia, e in parte di vesti, affatto differenti dagli altri abitanti degli Euganei». L’abbigliamento femminile arquatense ed Euganeo, si poteva trovare piegato, alla fine del secolo, nelle casse nuziali delle nonne, ed è soprattutto in teli di lino; di color turchino, rosso, a righe, quadretti e dava la sensazione complessiva di un tono paonazzo. Gli abiti sono:
«rigidi, dal corpetto stretto con maniche increspate, ovvero senza maniche, in tal caso la camicia candida usciva a sboffi, e con leggera scollatura, la sottana a piegoline fitte con balze di velluto nero. Spesso gonna e corpetto erano cuciti insieme. Abiti casalinghi, veduti crescere a poco a poco, tenuti gelosamente, tramandati da sposa a sposa nella stessa famiglia. Anche le calze assumevano ricchezza, fatte a croce di grosso filo bianco, in un disegno a traforo, non eleganti ma belle. Altra volta erano lavorate ad anelli bianchi e rossi. Il costume si completava col grembiule colorato di stoppa o filo, con un fazzoletto da collo di seta dai colori armoniosi; agli orecchi quei pendenti d’oro leggerissimo ma pesanti di aspetto e di ornati, come l’oreficeria etrusca, di raro arricchiti di qualche pieruzza, che si comperavano nelle botteghe di Este e Monselice, dove fino a pochissimi anni fa si continuò a lavorare nelle case il «manin» d’oro di Venezia e la catenella di Spagna. Andando in chiesa si coprivano il capo con un velo rettangolare bianco finemente ricamato ad ago.»¹.
Adolfo Callegari, La Palmira d’Arquà. Acquerello su carta (cm 30×48)
Una testimonianza preziosa è l’acquerello La Palmira d’Arquà di Adolfo Callegari (Padova 1882- Arquà Petrarca 1948), studioso e “promotore delle belle arti”, conservato dalla famiglia di Palmira Trentin e pubblicato nel libro Monselice in Arte. Libri, Stampe, Dipinti e Medaglie 1711-2011, a cura di Roberto Valandro. La donna ivi rappresentata è una modella, abbigliata con il costume tradizionale arquatense, rimasto in auge fino agli Quaranta del Novecento. Sopra all’abito si indossa come accessorio qualche giro di «manin», o cordone d”oro veneziano con o senza croce, detto “monselesan” o la catenella di Spagna, a maglie piene e più evidente. L’abbigliamento maschile è descritto da Francesco Selmin nel suo libro “La scoperta dei Colli Euganei”, citando la relazione sugli Usi e costumi degli Euganei di Adolfo Callegari:
«Quanto agli uomini portavano brache corte al ginocchio con fibbie (fiube) laterali. In testa mettevano una berretta rossa tonda senza tesa (la si vede in un quadro del Pellizzari nell’Oratorio della Trinità, quadro che risale al 1628), e i fanciulli una nera di filo ricadente fin su le spalle. Di solito all’orecchio destro degli uomini, talvolta a tutti e due scintillava un cerchietto d’oro liscio (sciona), nel quale infilavano il nocciolo di un’oliva, o di una ciliegia, o di una marinella, che hanno differente colrazione. Ciò mi fu assicurato, serviva a indicare le diverse mansioni dell’uomo nell’azienda domestica, a seconda che attendeva alla stalla, ai campi, eccetera. Il capofamiglia portava invece appesa all’orecchio una stellina d’oro a tre punte.»²
Il costume popolare ad Arquà Petrarca si mantiene eguale fino alla fine dell’Ottocento. Negli anni Trenta del Novecento si trova solo in paesi sperduti o nella popolazione più anziana; pasando da essre descritto come abito popolare a costume popolare, poichè le generazioni più giovani si distanziarono prima da tali usanze. Il costume popolare viene rindossato solo in occasione di eventi particolari, organizzati dal regime fascista per testimoniare l’importanza della tradizione. Ad Arquà, ad esempio, si svolgevano importanti feste popolari: la Sagra delle Cante, la Sagra della Trinità e la processione notturna fra le case dell’antico borgo illuminante coi bugàgni (i gusci delle chiocciole), in queste circostanze gli arquatensi vestono i loro costumi tradizionali precedentemente descritti. (A cura di Stefania Vitale)
¹ Francesco Selmin, Usi e costumi degli euganei. Il minuscolo pezzo di mondo dell’abitante dei colli, in La scoperta dei Colli Euganei, Cierre edizioni, 2017, pp. 113 – 128: 115-116.
² Francesco Selmin, Usi e costumi degli euganei. Il minuscolo pezzo di mondo dell’abitante dei colli, in La scoperta dei Colli Euganei, Cierre edizioni, 2017, pp. 113 – 128: 116-117.
© 2023 a cura di Flaviano Rossetto per https://www.ossicella.it/
Per la storia di Monselice https://www.monseliceantica.it/
Contatti e info flaviano.rossetto@ossicella.it