Monumento notevolissimo, di struttura romanica dove si infiltrano elementi decorativi gotici. Questa pieve probabilmente era sorta nel periodo longobardo quando Monselice fu il centro politico e amministrativo dei superstiti territori di Este e di Padova. La sua chiesa di S. Giustina sorgeva in cima al colle nel contesto delle fortificazioni. Una donazione del 21 luglio 1122 parla di « ecclesiae plebis sancte Iustine de Montesilice sita supra vertice montis ipsius loci ».
Nei secoli VI-VIII anche la popolazione aveva preferito insediarsi sui declivi del colle per sottrarsi alle minacce delle invasioni e delle inondazioni. Quando però aumentarono e la sicurezza e il numero degli abitanti, questi tornarono a stabilirsi nella pianura circostante il colle ed eressero per propria comodità altre chiese, dotate di clero e benefici propri, ma soggette alla pieve: S. Tommaso, S. Martino, S. Paolo. Un atto di investitura del 31 gennaio 1155 parla dell’ « archipresbiteri dominici de plebe sancte Iustine de Montesilice cum suis fratribus »: entrano in scena i canonici della collegiata che reggeva la pieve. In un’altra investitura del 23 aprile 1163 oltre all’arciprete Martino ne sono nominati cinque, come cinque o sei sono nominati in documenti successivi del 16 settembre 1179, del 7 gennaio e 6 giugno 1182.
Due anni dopo che Ezzelino l’ebbe riconquistata, il 6 marzo 1239 venne a Monselice l’imperatore Federico II ? e volle che la rocca fosse circondata di mura. La vecchia pieve di S. Giustina fu abbattuta e per 17 anni la collegiata fu ospite della chiesa di S. Martino vecchio. Però appena cacciato Ezzelino, l’arciprete Simone de’ Paltanieri, 1’11 ottobre 1256, ottenne dal vescovo Giovanni Forzaté di trasferire la sede della pieve verso la metà del colle, nella chiesa di S. Martino nuovo, che prese il nome di S. Giustina, Il Paltanieri la trasformò in un vasto duomo dalle pure linee romaniche con torre campanaria dello stesso stile. Quarant’anni dopo, la decima papale del 1297 ci mostra com’era organizzata la sua collegiata: l’arciprete, sei canonici o chierici e tre mansionari. Ne dipendevano le chiese urbane di S. Martino vecchio, di S. Paolo e di S. Tommaso e quelle foresi di S. Nicolò di Marendole e di S. Matteo di Vanzo: questa fondata, quella beneficata dal Paltanieri. Invece nell’estimo papale del secolo seguente i canonici sono cinque e i mansionari quattro; la pieve è valutata 200 lire di piccoli, i canonici 110 ciascuno e i mansionari 40.
Anche lo « Stato della diocesi di Padova » del Bertazzi elenca nella « Chiesa collegiata di S. Giustina di Monselice » oltre l’arcipretato, cinque canonicati e quattro mansionerie « con cura d’anime ». Tutti avevano la residenza. Il conferimento dell’arcipretato spettava alla Santa Sede e quella dei canonicati e delle mansionerie, dopo la sentenza del 23 gennaio 1695, all’Ordinario. Tale situazione durò fino al 25 aprile 1810 quando in seguito alla soppressione napoleonica delle collegiate, la cura d’anime passò a quattro cooperatori o mansionari alle dipendenze dell’arciprete, che nel 1865 ebbe il titolo di abate mitrato « ad personam » e nel 1913 « perpetuo ».
La pieve ebbe giurisdizione – ma molto tenue – sulle parrocchie di S. Paolo, S. Martino e S. Tommaso, indipendenti nell’esercizio della cura d’anime nel loro settore urbano di Monselice, finché il vescovo mons. Pellizzo con decreto del 10 agosto 1919 abolì completamente la circoscrizione interparrocchiale esistente a Monselice da quasi dieci secoli per costituirvi una sola parrocchia urbana, quella arcipretale abbaziale di S. Giustina e quattro parrocchie: Monticelli, S. Cosma, S. Bortolo e Ca’ Oddo. Poiché l’antica arcipretale di S. Giustina per la sua ubicazione a metà del colle mal si prestava ad essere la sede della, nuova parrocchia cittadina, s’imponeva il problema d’un nuovo duomo più centrale.
Dopo la visita vescovile del 25 marzo 1925 il territorio della parrocchia fu diviso in quattro reparti, ciascuno curato da proprio sacerdote residente: Duomo, S. Paolo, S. Martino e S. Tommaso. In quello stesso 1925 iniziarono i lavori di restauro dell’arcipretale, che, liberata dalle deturpazioni barocche del 1600, riebbe le originarie armoniose linee romaniche. Il problema della sede più centrale della grande parrocchia fu risolto con la costruzione di un nuovo Duomo, dedicato a S. Giuseppe artigiano che l’8 settembre 1957 fu solennemente benedetto e il 29 giugno 1958 aperto al culto. Nel frattempo nuovi lembi del territorio parrocchiale in seguito al rapido aumento della popolazione furono staccati per costituire le parrocchie del Carmine a Montericco (28 novembre 1950), S Giacomo (8 dicembre 1966) e S. Salvaro (25 dicembre 1967).
DESCRIZIONE ARTISTICA
La fronte monocuspidata del tempio ha una franga di arcatelle doppie, e resta tripartita da lesene. La facciata e occupato in alto dal rosone. La muratura è di laterizio, per la cornice e la parte superiore delle lesene, nel resto a filari di sassi ben cementati. Un oculato restauro (1925) della Soprintendenza all’Arte medioevale e moderna del Veneto ha restituito alla facciata l’antica struttura, lasciando il protiro del XV secolo. L’interno è una sola nave terminante nel coro con due cappellette laterali, poste a livello più alto.
Sul presbiterio, rialzato, si aprono dunque le cappelle. Quella centrale, preceduta da un arco ad ogiva di netto sapore goticheggiante con ghiera in pietra decorata da motivi fitoformi, è coperta da una volta a crociera costolonata ed era ornata da narranti affreschi di cui restano tratti sbiaditi o barbaramente offesi. Esemplare, per l’importanza che riveste nell’ambito di una appena intuita fioritura artistica duecentesca in Monselice, almeno un soggetto: la Vergine in trono con Bambino accompagnata da San Martino (titolare del primitivo edificio), opera di un frescante sensibile ad influssi bizantineggianti, mediati sull’esempio dei mosaici marciani in Venezia ma accostati insieme ad un manierismo di origine oltremontana.
La cappella di destra, di dimensioni assai più ridotte, è coperta da una volta a botte su cui s’imposta la torre campanaria ed accoglie un ritratto di S. Sabino, amato protettore medioevale della città, di mano novecentesca ad imitazione d’antiche tavole; la gemella cappelletta di sinistra, infatti, ospitava un dipinto (ora riprodotto in facsimile cartaceo) raffigurante una Madonna del latte o dell’umiltà, attribuita a Pietro da Verona (notizie dal 1393 al 1434).
Anche il protiro, così come è visibile in una mappa del 1603, non sembrava ricalcare le attuali linee quattrocentesche, forse dovute più alla sapienza dei restauri che al ripristino dei materiali in situ, con una lunetta sopra il portale d’ingresso ingannevolmente coeva ma dipinta sull’avvio dei recenti anni trenta.
Nell’aula silenziosa ecco le belle tele alle pareti. Queste si misurano col pesante sfavillio del rifatto Polittico quattrocentesco di scuola veneziana dell’altare maggiore, con i penosi lacerti a fresco dell’abside (sec. XIII-XIV), con la consunta statua di S. Giustina scolpita nei primi decenni del ‘500 (ricondotta all’entourage di S. Cosini e collocata un tempo sopra il protiro), con le quattro formelle marmoree raffiguranti Storie della vita di S. Agostino e S. Girolamo, assegnate all’ambito di Giovanni Marchiori (1696-1778, e con una riscolpita stele funeraria romana del I sec. d.C. accolta sotto il pulpito.
Degne di nota sono ancora alcune opere scultoree come la Madonna con Bambino in legno policromo (sec. XV-XVI) e il pulpito figurato (sec. XV) con il Crocifisso che lo sovrasta (sec. XVI), mentre nella cappella maggiore un altro Crocifisso è datato tra otto e novecento; scarsissimi i reperti anteriori al quattrocento: una piccola acquasantiera (sec. XIV-XV), a destra del portale d’ingresso, un elegante peduccio in pietra (sec. XIII) nella cappella laterale del campanile e all’esterno, incastrata sopra la lunetta pseudo-rinascimentale del protiro, una formella raffigurante l’Agnus Dei (sec. X-XI), l’Agnello mistico restituito da essenziali ma realistiche notazioni, con il vello che lascia campo espressivamente ai visceri corporali (Valandro).
Dell’archivio di questa collegiata (soppressa nel 1810) fu danneggiato nel 1513 ma salvato in parte dal vescovo Barozzi. Nei primi dell’Ottocento fu restituito al Comune di Padova, ed ora nel Museo Civico di quella città. Tra la documentazione segnaliamo il così detto Catastico d’Ezzelino, scritto con caratteri tra minuscolo gotico e corsivo. È un inventario dei beni della collegiata di S. Giustina, che va dal periodo d’Ezzelino fino a buona parte del Trecento.
La chiesa, tuttora consacrata e officiata durante la stagione estiva e per matrimoni, ospita momenti culturali di grande respiro: concerti, convegni e la celebrazione dei Premi BRUNACCI per la divulgazione storica locale e veneta.
IL RESTAURO 1920-1930 Agli inizi degli anni Venti sorge a Monselice un Comitato degli amici dei monumenti presieduto da E. Uccelli, avente lo scopo di valorizzare il patrimonio architettonico della cittadina. Tale Comitato manda petizioni all’amministrazione comunale, sensibilizza l’opinione pubblica con numerosi articoli sui quotidiani, si dà da fare in tutti i modi perché gli edifici storici vengano salvati dal grave degrado. Così, quando il restauro del Duomo Vecchio, nel 1926 appunto, è già in fase avanzata, Uccelli scrive un lungo articolo su “Il Veneto” informando tra l’altro che tra le pietre della facciata è stata scoperta una statua di molto probabile origine barbara. Negli stessi giorni anche il settimanale cattolico “La difesa del popolo” dedica un pezzo all’antica chiesa, pezzo che val la pena trascrivere integralmente: “Restituita la facciata del nostro Duomo nelle pure linee dello stile romanico mercè l’interesse e il valido aiuto del commendator Forlatti. La fabbriceria si assunse il compito di abbattere il pesante soffitto stile 1800. Terminati i lavori e fra il polverio si possono ammirare le magnifiche travature che da tanto tempo reclamavano il diritto di vedere la luce. Ci auguriamo che i lavori proseguano con sollecitudine e che non si usi misericordia con quanto non è conforme allo stile del Duomo, cosicchè rimessi gli altari al loro posto, fatte sparire le cappelle dell’Addolorata e di San Giuseppe, riaperte le magnifiche monofore dell’abside e quelle laterali, sia concesso presto rivedere il classico monumento quale lo videro i monselicensi nel 1200”. |
Per ulteriori info sulle chiese e sacerdoti di Monselice consigliamo la lettura degli appunti Giuseppe Trevisan qui sotto nel link https://www.ossicella.it/monselice/restauri-nelle-chiese-di-monselice-1900-1990/ https://www.ossicella.it/monselice/preti-e-suore-di-monselice-1900-1990/ |
Saggi in PDF sulla Pieve di Santa GiustinaZULEIKA MURAT, l podium della pieve di Monselice nella descrizione di Pietro Barozzi [ Clicca qui…] Saggio in PDF sulla Pieve di Santa Giustina dal titolo “Monselice nel VII centenario della fondazione del suo duomo”. E’ una interessante saggio, stampato nel 1956, sulla Pieve di Santa Giustina contenente notizie interessanti anche sul tesoro del duomo. Le ultime pagine contengono una scheda biografica sul Paltanieri e sui Mons. Gnata e Cerato. [vai..] Le lapidi e le scritte presenti nella chiesa di Amalia Lucetto [ vai…] Fabrizio MAGANI, Gli affreschi due e trecenteschi della Pieve di Santa Giustina [ Clicca qui…] Elisabetta Antoniazzi Rossi, Chiese e monasteri: per un approccio alla vita religiosa monselicense tra i secoli XV e XVI [ vai..] Chiara Ceschi, Chiese , conventi e monasteri: una rassegna del patrimonio artistico tra Settecento e Ottocento, p.565-588. ( Memorie della terra di Monselice; Le collezione dell’ abate Stefano Piombin; Note). [Vai…] ANTONIO LOVATO, Musica e liturgia nella collegiata di S. Giustina (Duomo Vecchio di Monselice), biografia del musicista Antonio Gualtieri e notizie sull’organo [ Clicca qui…] |
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