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Quando il re Vittorio Emanuele III era a Monticelli durante la Grande guerra

Rara immagine del re Vittorio Emanuele III a Lispida, recuperata da Maurizio De Marco

Pochissime le testimonianze sulla presenza del Re a villa Lispida – a Monselice – durante la fase finale della prima guerra mondiale. Siamo riusciti a recuperare solo due scritti: le memorie del Cartura e una pagina di Ugo Ojetti. Iniziamo da nostro Celso Carturan che nelle sue ‘memorie’ scrive:

Durante la fase finale della prima guerra mondiale il Re stabilì in Monselice il suo quartiere generale e la sua residenza rimanendovi fino a guerra completamente finita. Fu scelta la località detta Lispida, importante frazione di questo Comune, e più precisamente la Villa dei Conti Corinaldi. La villa, signorile ed elegante, di recente costruzione, sorge in posizione molto appartata, discosta dai centri agglomerati, nascosta e protetta da piccole alture e difficilmente individuabile dagli aeroplani. Essa è attorniata da estesi vigneti che danno vini prelibati e rinomati. Quivi il Re dormiva in una modesta camera da letto da campo, quivi i giovani principi non disdegnavano di giocare nel parco con i contadinelli. Il principe ereditario, allora tredicenne, conobbe per la prima volta Maria del Belgio, colei che doveva poi diventare sua augusta consorte.  In questa villa si può dire che dalla fine del 1917 alla fine 1918 si siano maturati i nuovi destini d’Italia. Il Re tutte le mattine, tranne quando alti affari di stato glielo impedivano, partiva molto per tempo in automobile per il fronte portando con sé per lo più la modestissima colazione in cui non mancavano mai le cipolle cotte. Così ci narravano appunto persone addette alla Villa e che rimasero al loro posto anche durante la permanenza del Sovrano e che tante volte presero parte all’allestimento dei preparativi culinari. Ebbi anch’io ad incontrarlo spesso lungo le vie verso Padova mentre si recava nella zona di operazioni o alla nostra stazione ferroviaria quando affari di stato lo obbligavano a qualche brevissima assenza del quartiere generale. A proposito dell’incontro a Lispida di Monselice del principino Umberto con Maria del Belgio voglio accennare che, dopo le loro nozze, essendosi eretto in Monselice l’asilo nido si volle intitolare quale omaggio nuziale, ai principi di Piemonte, ed io d’incarico del Podestà, stilai la richiesta che fu subito accolta. La permanenza del Re a Lispida si protrasse fino al 1919 come è (era) ricordato dalla lapide murata nella nostra sala Garibaldi, con la scritta seguente:

In questo Comune dal 20 gennaio 1918 al 7 luglio 1919
Soggiornò
VITTORIO EMANUELE III RE D’ITALIA
Il municipio di Monselice /Orgoglioso/ D’aver accresciuta per tale dimora illustre
I fasti della sua storia / Vuol ricordare nel marmo il nome del sovrano

Altra lapide fu collocata sulla facciata della Villa di Lispida (che prese da allora il nome di Villa Italia) e che porta la seguente dicitura: “Da questa Villa- suo quartiere generale- dal 20 gennaio 1918 al 7 luglio 1919 – Vittorio Emanuele III – esempio di valorosi – su monti e su mari sacri alla patria – a eterna gloria – le bandiere d’Italia – vittoriosamente guidò.

Oltre alle citate memorie del Carturan ci è stata segnalata dal prof. Valandro una pagina dello scrittore e storico dell’arte Ugo Ojetti che nel suo libro Cose viste – pubblicato nel 1928 dai fratelli Treves – ricorda una sua visita al re proprio a Lispida avvenuta il 1 novembre 2018 quando la vittoria finale era abbastanza vicina. Ecco il testo.

La sera prima eravamo stati a pranzo dal re a villa Corinaldi (i proprietari di Villa Lispida al tempo della grande guerra). Approdavamo in quel silenzio delle piazze di Padova già in lieto subbuglio per le notizie dell’avanzata fino al Tagliamento e fino a Rovereto, dai corridoi del Comando ad Abano dove a stento deputati e giornalisti erano tenuti lontani dalle stanze del generale Diaz o del generale Badoglio e le domande più semplici erano se Guglielmo aveva già abdicato, se noi si marciava su Monaco e su Vienna e quando credevamo di giungervi e uno a venezia si era imbattuto in D’Annunzio che gli aveva detto: “Sento fetor di pace”. Là, invece, davanti alla casa del Re, sul piazzale di ghiaia bianca, solo due automobili vuote e due carabinieri di guardia, sopra le colline un cielo bianco e liscio pronto a tutti i presagi, e negli alberi del parco il pigolio degli uccelli che vanno a dormire. In quella solitudine il palpito dei nostri cuori, il rombo degli eserciti che fuggono disfatti, il rombo degli eserciti che compatti incalzano, già pare quietarsi e definirsi in poche parole di storia, come tutt’una vita in un’epigrafe di marmo. Re Vittorio è ancora nel suo studio con Diaz, Quando entra nella sala da pranzo, il passo ben battuto, il chiaro volto ben alto, dice al generale: “Oggi, due novembre, è il giorno dei morti. Si meritano questo premio.” Non a sè e alla gloria del suo regno egli pensa, ma al lungo martirio del paese, egli che non hai mai dubitato. Ci saluta uno a uno con l’affabile semplicità di sempre. Non si ode per tutto il pranzo un’esclamazione o una vanteria. Soltanto s’è felici di sentirci nella fresca gioia vicini come mai ai nostri capi, senza una reticenza, senza un’ombra, tanto che a ciascuno sembra di poter leggere tutto l’animo dell’altro. Sopra la parete, più su d’una bassa credenza, stanno tese le carte di guerra. Dopo il pranzo, per cercare oltre Riva, oltre Rovereto, oltre Caldonazzo, le valli dove i nostri corrono verso settentrione stroncando ogni nodo e laccio nemico, bisogna o calare giù le carte o salire sulla credenza. Al generale Diaz viene offerta una canna e con quella egli indica lassù presso il soffitto monti, paesi, fiumi, a una corte che lo ascolta in punta di piedi: “Ma stanotte chissà dove arriveranno”. Al primo mattino io devo raggiungere a San Giuliano di Mestre il generale Petitti di Roreto nominato governatore di Trieste e dell’Istria. Il Re viene fino sulla soglia a congedarci. Quando mette la sua mano sulla mia, mi regala un: “Mi saluti Trieste”, che per un attimo mi inchioda estatico sull’attenti. Se m’avesse aggiunto: ” E domani sera si butti giù dal campanile di San Giusto”, gli avrei detto grazie, felice.

Pochi giorni dopo, il 4 novembre, verrà firmata la pace a Villa Giusti. Il re rimarrà a Lispida fino al 7 luglio per sfuggire a  una epidemia che colpiva Roma.


© 2023 a cura di Flaviano Rossetto  per  https://www.ossicella.it/

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