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Le cave dei Colli Euganei e la trachite monselicense

La varietà di rocce che compongono i Colli Euganei è molto ampia e da sempre sono state utilizzate per ogni tipo  di costruzioni. In particolare le rocce sedimentarie (calcari e marne) servono per produrre calci e cementi, le rocce vulcaniche, come la trachite, per produrre pietre lavorate (selciati, cordonate, paracarri, davanzali, ecc.) o da riempimenti e sottofondi. Innumerevoli testimonianze documentano alcuni di questi usi già in epoca preromana e romana e ancora più frequentemente in epoche successive, come nel medioevo e durante la dominazione veneziana. Le comprensibili difficoltà legate ai trasporti hanno favorito l’apertura di cave in posizioni più esterne rispetto al gruppo collinare (Lispida, Montebuso, Frassenelle, Montemerlo, monte Oliveto, monte della Rocca) più comode per il trasporto via acqua. Nei primi dell’800 i ritmi di estrazione cominciano a intensificarsi; le opere stradali durante la dominazione napoleonica e austriaca, poi quelle ferroviarie, gli edifici pubblici e privati di tutti i tipi richiedono notevoli quantità di materiali di cava. Si manifestano così i primi seri danni ambientali, come nel caso del monte della Rocca a Monselice.

Da questo momento non ci sarà più nessuna  tregua: all’esigenza sempre più estesa di materia prima, si aggiunge nel ‘900 l’uso di mezzi meccanici sempre più potenti, sia per l’estrazione che per la lavorazione che per la lavorazione. Non sono più solo le zone periferiche dei Colli ad essere interessate dalle cave, ma tutto il complesso collinare.

Nel secondo dopoguerra, e in particolare dopo l’alluvione del 1951 che ha distrutto o danneggiato lunghi tratti arginali del fiume Po, l’estrazione assunse ritmi vertiginosi: dalle 200.000 tonnellate all’anno negli anni ’30 si passa alle 500.000 dei primi anni ’50, ai 5-6.000.000 degli anni ’70. Le cave attive arrivano a superare il centinaio: si possono aprire senza problemi perché sull’attività estrattiva manca qualsiasi disciplina legislativa. Le disastrose conseguenze sul paesaggio e sull’ambiente sempre più segnato da vistose “ferite”, nonché sulla qualità della vita di intere contrade, provocano reazioni e contestazioni sempre più forti. Verso la fine degli anni ’60 questi si coalizzano formando dei comitati di difesa dei Colli. La protesta costringe il Parlamento a prendere uno dei primi provvedimenti ecologici del dopoguerra: il 24 novembre 1971 viene approvata la legge n. 1097 “Norme per la tutela delle bellezze naturali e ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei”, primi firmatari gli onorevoli Giuseppe Romanato e Carlo Fracanzani.

Questa legge comporta la progressiva chiusura di tutte le cave di materiale non di pregio, utilizzato per massicciate stradali, riempimenti, ecc.; ora ne restano aperte una decina, quelle dove si estrae trachite da taglio, e due di calcare che però dovrebbero chiudere entro pochi anni. In ogni caso le quantità sono limitate e i cavatori hanno l’obbligo del recupero ambientale.

Monte Lispida

I canali realizzati a Monticelli attorno al monte di Lispida per trasportare la preziosa trachite a Padova e Venezia (1566)

Poco prima di Rivella si nota un corso d’acqua che sottopassa il naviglio Padova-Monselice attraverso la botte. Si tratta del canale delle Pietre o Scolador, che ad est del naviglio assume il nome di Fossa Paltana e che raccoglie le acque a scorrimento superficiale del Retratto di Monselice. Questo corso d’acqua è collegato anche al laghetto di Lispida, posto a sud-est dell’omonimo monte (94 m); sul versante ovest di quest’ultimo sorge la villa Italia. Il monte Lispida e le relative cave di sélesi e maségne trachitiche, ora inattive, sono a lungo di proprietà del monastero di Santa Maria. Nel 1150 si ha notizia, per la prima volta, di questo insediamento religioso che è retto da monaci agostiniani. Successivamente si susseguono vari ordini monastici e proprio il possesso della cava suscita forti appetiti per l’aggiudicazione del priorato. Infatti questo luogo di estrazione, sino a tutto il ‘700, è uno dei più importanti dei Colli e fornisce materiale lapideo per il rinforzo dei litorali marini e per varie altre costruzioni. Tra queste ultime, anche la basilica di Santa Giustina di Padova viene fabbricata nel ‘500 con il materiale proveniente dalla demolizione dello Zaìro (teatro romano a Prato della Valle), come pure con le pietre di Lispida. Si suppone che il Naviglio Euganeo sia stato progettato non solo per collegare militarmente, con una sorta di super-idrovia, Monselice e Padova, ma anche per poter trasportare più facilmente e velocemente le pietre dei Colli con le quali si potevano erigere le mure difensive e costruire pavimentazioni.

La bonifica della zona e la collegata sistemazione delle affossature favoriscono, oltre allo scolo dell’acqua, anche il trasporto dei sassi di Lispida.  Vicino all’attuale laghetto, ai piedi del monte, viene caricata la pietra trachitica sulle burchielle che oltrepassano la botte a Rivella e,  lungo l’attuale Fossa Paltana, giungono in prossimità del Vigenzone, in zona Palù, dove esiste il porto delle pietre. Qui, attraverso uno scivolo, il cargador sull’arzere, avviene il  trasbordo su più grosse imbarcazioni, burci e padovàne, che scendono poi lungo il Vigenzone, verso Brondolo (Chioggia) e quindi la laguna o l’Adige e il Po. Le pietre dirette a Padova, invece, giunte a Rivella vengono trasferite su barconi che poi viaggiano nel naviglio Battaglia. Quelle che provengono dalle altre cave e sono dirette a Brondolo vengono caricare si carri e ammassate a Battaglia, nel borgo del Pizzon, ora Ortazzo, per poi essere stivate su burci che navigano su Vigenzone.

Nel 1564 viene scavato il nuovo Canale delle Pietre che congiunge la cava del monte Lispida alla botte di Rivella per agevolare la navigazione. Tale opera però non permette di evitare il trasbordo a Rivella e a Palù. La discontinuità tra il Naviglio Euganeo, che scorre alto rispetto alla campagna circostante, e i canali bassi verrà eliminata soltanto nel 1923 con l’edificazione della conca di Battaglia Terme che collegherà il canale Battaglia con il Vigenzone. All’indomani della soppressione del monastero di Santa Maria (avvenuta nel 1780), le cave vengono dapprima amministrata dal governo veneziano e poi, nel 1792, vendute all’asta, passando così in mani private.

Fondamentale è il saggio di G. Romanato sulla legge (Romanato – Fracanzani) che ha fatto chiudere le cave nei colli, qui disponibile a pag. 279  del PDF che potete trovare  nel link http://www.bibliotecamonselice.it/wp-content/uploads/2018/04/MONSELICE_Parte-Seconda.pdf 

Madonna delle cave, di A. Mantegna (1490 circa) Custodita presso le Gallerie degli Uffizi di Firenze. Sulla destra a fianco della Madonna si possono notare gli scalpellini al lavoro nella cava. Andrea Mantegna, originario di Isola di Carturo (Piazzola sul Brenta) e attivo a Padova e poi a Mantova, potrebbe essersi ispirato alle cave dei Colli Euganei.

TRACHITE SULLA ROCCA DI MONSELICE

Dal punto di vista geologico, il colle della Rocca è composto da trachite, roccia vulcanica particolarmente pregiata per la sua resistenza e anche per le sue qualità estetiche. La sua estrazione nell’area ha una lunga tradizione, ai romani si deve la sua diffusione nei principali centri dell’Italia settentrionale dove veniva utilizzata soprattutto per la costruzione di strade ed edifici. L’estrazione di trachite continua anche in epoca medievale con apertura di nuove cave e anche con riattivazioni di quelle non più in uso.

Durante il periodo della Serenissima Repubblica di Venezia, si assiste al momento di massimo sfruttamento della roccia anche per via della facilità di estrazione e lavorazione, passo costo del trasporto e le sue qualità di resistenza agli agenti atmosferici; infatti è nota la sua resistenza all’acqua e alla salsedine.

Tra il XVII e il XVIII secolo d.C., i blocchi di trachite vengono utilizzati per le opere di difesa del litorale lagunare e per la pavimentazione di vie e piazze delle principali città venete, soprattutto Venezia, dove nel 1723 il pavimento di Piazza San Marco, progettato dall’architetto Andrea Tirali, viene ricoperto da lastre di trachite.

Sul finire dell’800 si registra un importante aumento di estrazione di trachite per far fronte alle grandi opere di arginatura fluviale, per i sottofondi e le massicciate ferroviarie. Le fonti storiche documentano l’esistenza di cave a partire dal primo documento ufficiale risalente al 1532 dal quale si evince la fornitura di pietre per la costruzione della chiesa di Santa Giustina di Padova.

Nella prima metà del settecento, le fonti testimoniano l’esistenza di 12 cave distribuite lungo le pendici del colle e che erano per lo più proprietà di nobili famiglie veneziane, gestite da cavatori locali dietro il pagamento di un affitto e di un canone fisso annuo. Nell’anno 1875 le cave attive rimaste sul Colle della Rocca erano 3: cava Balbi Valier sul lato orientale, cava Ramina presso la chiesa di Santa Giustina e cava Giraldi a nord ovest di Ca’ Marcello. L’estrazione si spegne definitivamente nel 1955.

Le attività estrattive nelle cave hanno portato alla distruzione di quasi un terzo del colle modificandone in maniera irreversibile l’aspetto morfologico. Intorno al 1930 cessano le attività di estrazione per volere del conte Vittorio Cini e si procede con interventi di rimboschimento delle cave nei lati del colle.

UN PO’ DI STORIA DEL COLLE

Dopo la guerra del 1509, il sistema difensivo di Monselice, “ben dirupto et mal condicionado” fin dalla fine del XV secolo, come ricorda sempre Marin Sanudo26, perse la sua rilevanza militare e venne ceduto dalla Repubblica di Venezia ai Marcello, che acquisirono fin dal 1406 i beni pubblici e le residenze già carraresi, e ad altre famiglie nobili, tra le quali i Duodo che, alla fine del XVI-inizi XVII secolo costruirono una villa a mezzacosta sui resti della fortificazione nota dalle fonti come “castello di San Giorgio”.
I versanti del colle, anch’essi privatizzati, vennero terrazzati a giardino e incisi da scalinate scenografiche, rispettando tuttavia i resti delle fortificazioni. Solo dalla fine del XVII secolo, cominciarono ad essere intaccati dalla cave di trachite; nel 1717 se ne contavano sette inattive e cinque attive. Con l’introduzione delle nuove tecniche di escavazione, alla metà del secolo scorso, la devastazione divenne massiccia, in particolare tra il 1880 e il 1923, quando i Cini, dopo aver acquisito la proprietà di una delle tre cave allora attive, quella sita a monte di Ca’ Marcello, attuarono la distruzione sistematica di una parte consistente del versante occidentale della Rocca

Immagine di Monselice nell’Ottocento, la rocca risulta già intaccata dalle cave. in basso a destra si carica la trachite su un barca

Bella immagine delle mura di Monselice nell’ Ottocento, si notano le grandi cave che stanno distruggendo il colle. A destra stanno caricando la trachite sulla barca. Il quadro è esposto nella casa di riposo di Monselice. Sarebbe molto interessante esporlo x qualche giorno nella sede municipale. Opera di grande realismo storico.

Fondamentale il saggio di Raffaello VerganiMasegne e calchere : secoli di attività estrattiva, p.403-413. (Le risorse disponibili; Dalle origini al 1850; L’ evoluzione delle tecniche; Uno sfruttamento di rapina : tra XIX e XX secolo; Note) disponibile in PDF [Vai…]

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