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Bonifiche veneziane del ‘500. Il retratto di Monselice

La costruzione del Retratto di Monselice risale al 1557, dopo che lo Stato veneto accolse la strategia proposta dall’amministratore dei beni vescovili di Padova, allora Alvise Cornaro. Questo progetto è battezzato col nome di “Retratto di Monselice”. Il nome Retratto, Ritratto è una derivazione da “ritràzer”, vale a dire riscattare, sottrarre il terreno al ristagno dell’acqua. L’idea di Cornaro, esperto dell’ entroterra, era quella di migliorare l’agricoltura attraverso il riscatto delle terre lungo l’Adige, dei Colli Euganei e nel Foresto. Valli di cui non si conosceva esattamente l’estensione, poco coltivate e lasciate a loro stesse.

Qui, dalla metà del ‘500, si stavano vivendo anni di profonda crisi, fame e miseria: bisognava andare incontro ai bisogni primari della popolazione e aumentare la produzione agricola. Infatti nel 1516 si era appena conclusa la guerra della lega europea di Cambrai. Ciò tuttavia, avrebbe permesso anche una minor dipendenza di Venezia dalle importazioni di cereali dall’Oriente, avere capitali e generare interessi immediati.

Nell’autunno del 1556 venne istituita una nuova Magistratura: i Provveditori ai Beni inculti. Essi affidano a Nicolò dal Cortivo, Domenico Gallo e ad altri tecnici l’esecuzione di un ambizioso progetto di riscatto della zona delimitata ad ovest dai Colli, a sud da Baone, a nord da Battaglia e ad est dal naviglio che ridisegnò il territorio. Vennero scavati nuovi canali di scolo, costruiti manufatti idraulici e di ponti-canali per il contenimento delle acque. Bonificare significava mutare sistemi e consuetudini radicati da tempo tra istituzioni pubbliche e diritti privati, ovvero il riordino della rete scolante, lo scavo di nuovi condotti, lo svuotamento e prosciugamento di vaste depressioni.

Avviato nel 1557 il Retratto di Monselice fu il primo intervento di bonifica voluto dal governo veneziano dopo l’istituzione dei Provveditori sopra beni incubi. Furono interessati oltre 6664 campi padovani (2574 ettari) racchiusa tra l’unghia sudorientale dei Colli (da Battaglia a Este) e il canale Bisatto-Battaglia.

All’inizio si confiscarono i fondi, poi si risanò e rese produttivo il terreno attraverso la costruzione di canali. Alla fine dei lavori li si restituì ai rispettivi proprietari previo contributo obbligatorio di due ducati per campo. Da sottolineare che il coinvolgimento dei proprietari per il finanziamento dell’ opera era una novità.

Il Lavoro di migliaia di contadini, svolto in meno di quattro anni, riscattò e risanò una vasta palude. Le terre retratte, cioè asciugate e ridotte a coltura, furono dapprima tolte ai proprietari e, a conclusione dei lavori, restituite previo recupero della spesa sostenuta per scavare nuovi fossi e aprire altrettante strade. Furono più di 6000 i campi coinvolti, da sei località: Monselice, Baone, Este, Arquà, Galzignano e Valsanzibio. Essi rappresentarono i primi veri prototipi di consorzio di bonifica fra i proprietari terrieri. I lavori andarono dalla fine del 1557 all’inizio del 1561.

Le terre tornarono alle comunità locali (Baone riscattò 338 campi, Arquà 46, Monselice 1296, Galzignano 406, cioè in totale il 31% della superficie), ai nobili padovani (Buzzacarini, Capodivacca, Dottori, Lion, Orologio, Santa Sofia, Savonarola Selvatico, Speroni e altri, per una superficie pari al 20% dell’area) e agli enti religiosi. Le famiglie veneziane (Contarini, Corner, Gaitratti, Loredan, Pisani, Polani e altri), grazie alla mediazione di compiacenti segretari del magistrato veneziano, rilevarono i restanti terreni.

L’assetto finale del territorio si coglie nella cartina più sotto del 20 marzo 1567, copiata da un’altra di Nicolò dal Cortivo, il progetista, con Paolo dal Castello, dell’intera bonifica (Biblioteca del Museo Correr)

Tratta dal libro. I colli Euganei curato da Francesco Selmin

Un annoso problema da affrontare fu il riflusso dell’acqua quando si verificavano forti piogge, che andavano ad allagare il comprensorio e annullare la bonifica. Le acque invadevano le terre, rovinavano il grano e i frutti, i territori da bestiame e da legname.

Solo nel 1905 gli abitanti della valle iniziano ad apporre dei rimedi: porte in ferro. Solo con l’installazione di pompe idrovore e l’uso di un motore diesel nel 1920 si riesce a far confluire le acque nel canale Vingenzone e a risolvere definitivamente la questione.

Maggiori info nel saggio tratto dal libro: Donato Gallo – Flaviano Rossetto, Per terre e per acque. Vie di comunicazioni nel Veneto dal Medioevo alla prima età moderna, Poligrafo 2003, (Carrubio, 2) p. 267-298 CLAUDIO GRANDIS, LA VIA FLUVIALE DELLA RIVIERA EUGANEA (1189-1557)  disponibile nel link   [ clicca qui …]

Bibliografia: Pier Giovanni Zanetti, Andar per acque. Da Padova ai Colli Euganei lungo i navigli, Il Prato 2002


© 2023 a cura di Flaviano Rossetto  per  https://www.ossicella.it/

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