
Mario Sensi, Monti sacri, transfert di sacralità e santuari ad instar; Il caso di Monselice
Nel 2005 l’assessore alla Cultura Giovanni Belluco promosse un convegno intitolato Tra monti sacri , ‘sacri monti’ e santuari: il caso veneto, coordinato dal compianto prof. Lionello Puppi nel quale è stato studiato anche il nostro Santuario Giubilare. Tutto il convegno è disponibile qui sotto in PDF.
6 ^ volume

Tra monti sacri, ‘sacri monti’ e santuari: il caso veneto, a cura di Antonio Diano e Lionello Puppi. Poligrafo 2006 (Intero volume in formato PDF) [vai…]
Tra i numerosi interventi anche quello del teologo don Mario Sensi, espressamente inviato dal Vaticano per approfondire le tematiche religiose connesse con il Santuario monselicense. Il saggio è molto interessante e va studiato con molta attenzione, soprattutto la parte relativa alle indulgenze . Più sotto in chiaro le pagine specifiche del nostro Santuario.
Mario Sensi (1939 – 2015), dottore in Teologia nonché in Lettere Moderne e Filosofia, prete della Diocesi di Foligno, parroco di Colfiorito (Foligno), cancelliere vescovile, canonico e priore del Capitolo dei Canonici della cattedrale di Foligno, consultore della Congregazione per le cause dei santi, membro del Pontificio Comitato di Scienze storiche, storico della Chiesa, professore alla Pontificia Università Lateranense in Roma. Socio di innumerevoli sodalizi scientifici, era deputato ordinario della Deputazione di Storia Patria dell’Umbria. Per maggiori info [ clicca qui…]
Qui sotto la parte terminale del suo intervento
- Il caso di Monselice
Il complesso di Villa Duodo a Monselice apparentemente è un luogo ‘senza una storia’, privo com’è di un evento epifanico, e tuttavia trattasi di una splendida pagina di storia della pietà, nell’accezione data da don Giuseppe de Luca, che per pietà intende “quel quid che fa dell’uomo qualcosa d’unico col suo Dio e lo fa agire”91. Questo santuario, con le sue cappelle romanis basilicis pares, beneficia di un triplice transfert di sacralità: per le indulgenze ad instar elargite da Paolo V; per le reliquie prelevate dalle Sette basiliche romane; per le icone, con i santi titolari di dette basiliche, allogate in altrettante cappelle dedicate, nell’ordine, a: Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le mura, San Sebastiano e, la sesta, ai Santi Pietro e Paolo. Detta successione ripete e quindi rimanda alla devozione della “Visita alle Sette chiese”, secondo la rivisitazione fatta da San Filippo Neri, il quale istituì tale devozione per togliere migliaia di persone dal carnevale romano, che riteneva un’orgia pagana 92. La concepì come una gita-pellegrinaggio in compagnia della “Madre dei cristiani”.
La visita doveva iniziare – secondo le direttive dello stesso San Filippo – in Santa Maria Maggiore, con l’intonazione, da parte dei cantori, del Magnificat; quindi, proseguiva con la visita alle altre sei chiese – si badi bene, quelle ripetute, nello stesso ordine, a Villa Duodo – mentre lungo il percorso si lodava Maria, nel fare “orazione in comune, salmeggiando, cantando laudi, litanie e altre devozioni”. Il rito, che occupava tutta la giornata, si concludeva “alla sera per il suono dell’Ave Maria”; quindi “ognuno tornava alle proprie case sereno e con il proposito di ritornarvi”93.
Giova ribadire che, con la sola eccezione della sesta cappella, intitolata ai due apostoli, anziché al solo apostolo Paolo – abbinamento dettato dalla chiesa di San Giorgio con cui si chiude il percorso –, la successione di Villa Duodo ripete il pellegrinaggio romano alle ‘Sette chiese’, rito che Dupront ricorda, per inciso, affermando che “di regola” costituì “la pratica penitenziale dei giubilei romani”94.
Effettivamente questo pellegrinaggio si praticò nel Giubileo del 1575: fu ad esempio una delle devozioni che compì lo stesso cardinale Borromeo, quando vi si recò per l’apertura, nel dicembre del 1574 95, e nel Giubileo del 1600: la praticò mensilmente lo stesso Clemente VIII († 1605), nonostante i suoi attacchi di gotta 96.
Tuttavia questo pellegrinaggio, attestato sin dal primo Cinquecento, è legato ai Giubilei romani solo per il fatto che la visita alle basiliche maggiori di Roma – appunto, quattro delle ‘Sette chiese’ –, dal tempo di Bonifacio IX, fu una delle condizioni per lucrare l’indulgenza giubilare 97. Mentre le altre tre chiese sono rimaste sempre estranee ai percorsi obbligatori dei Giubilei romani.
Quanto al numero delle chiese che si visitavano, Dupront si limita ad osservare come questa esplorazione dello spazio sacro è contraddistinta “dal numero sette, come i percorsi della Mecca”98. Mentre commentando l’incisione, con Le Sette chiese di Roma, eseguita forse da Stefano Dupérac e pubblicata a Roma da Antonio Lafréry, nel 1575, in occasione dell’anno santo, Marcello Fagiolo mette in relazione la città devozionale delle ‘Sette chiese’ con la città archeologica dei sette colli e, nella città devozionale, ritrova la stessa ideologia che qualche anno più tardi guidò gli interventi di Sisto V sul tessuto urbano, il quale valorizzò la rete basilicale, a spese della città storica99.
Fermo restando che la gita-pellegrinaggio coniata da San Filippo Neri – oggetto della nostra attenzione – è una devozione antica, rivisitata in chiave mariana, e non un rito penitenziale da ricondurre agli anni santi100, ritengo che le ragioni del numero ‘sette’ vadano ricercate, in primo luogo, nella visita ai Sette altari della Basilica di San Pietro, devozione con la quale, ab antiquo, si riteneva di lucrare un santo perdono, ratificato da San Pio V (1566-1572) il quale, di notte, era solito scendere dal Palazzo vaticano in basilica, per compiervi questo pellegrinaggio101.
Ma, stante la connotazione mariana, non è fuori luogo ipotizzare un rimando anche a devozioni verso la Madonna, legate al numero settenario, come la corona dell’Addolorata, o dei “Sette dolori”102; né sono da escludere altre devozioni settenarie, come quella ai sette Angeli che don Antonio del Duca, un santo prete romano, contemporaneo a San Filippo Neri, legò al culto mariano, quando appunto il 15 agosto 1550 nel tepidarium delle Terme di Diocleziano, a piazza dell’Esedra, eresse un santuario mariano dedicandolo a Santa Maria dei Sette Angeli, tempio che però, il 5 agosto 1561, fu ridedicato a Santa Maria degli Angeli e dei martiri, per ricordare i 40.000 cristiani, in gran parte soldati delle legioni d’Oriente, condannati a Diocleziano a costruire le terme 103.
CONCLUSIONI
Chiarito che il complesso delle ‘Sette chiese’ a Villa Duodo è, a tutti gli effetti, un santuario, ci si chiede in quale delle quattro tipologie dei luoghi sacri, enumerate da Dupront, rientri e da dove derivi la sacralità del luogo. Va da sé che, stanti l’ubicazione e il paesaggio, debba escludersi la prima categoria, quella delle montagne e delle sorgenti sacre; come anche la seconda, quella dei luoghi che si riferiscono ad una storia tipologica e ai quali sono legati anche i Sacri Monti e lo stesso culto delle reliquie. Fatta eccezione per la pianta centrale – che però nella chiesa di San Giorgio sembra avere significato diverso dell’Anastasis – nessun rimando alla Terra Santa si ha nella “via romana”, o “delle Sette chiese”. Mentre la sala retrostante l’altare, costruita per accogliere le reliquie e i corpi santi, è una realizzazione barocca e pertanto è fuori luogo l’ipotesi che il committente delle ‘Sette chiese’ abbia voluto sacralizzare il complesso con dette reliquie. Stante la funzione di cappella funeraria, che avrebbe dovuto svolgere la chiesa di San Giorgio, posta com’è al termine della “via romana”, ritengo che, nell’immaginario dei Duodo, il santuario dovesse – almeno inizialmente – rispondere alla nozione di “luogo del compimento escatologico”, dove si entra nella felicità beata, significata dalla stessa tipologia di San Giorgio, edificio a pianta centrale che rimanda agli Heroa, appunto la terza categoria nella classificazione del Dupront 104.
Quando poi, per il “santuario di Monselice”, fu ottenuta l’indulgenza, legata alla devozione delle ‘Sette chiese’, quella coniata da San Filippo Neri e che era di impostazione mariana, è verosimile che abbia preso il sopravvento la devozione mariana: questa poteva costituire un atto di omaggio a Francesco, fondatore del primitivo oratorio, che si era distinto a Lepanto, come comandante di Galeazze; è noto, infatti, come la vittoria di Lepanto sia legata alla Madonna del rosario. Di certo poi, già prima del 1615, quasi a sottolineare la matrice mariana del percorso delle ‘Sette chiese’, l’oratorio di San Giorgio ebbe un secondo appellativo, quello di Santa Maria di Loreto 105; ed è probabile che, in un prosieguo di tempo, l’icona di San Giorgio abbia ceduto il posto ad una raffigurazione della Madonna di Loreto, probabilmente da identificate con la pala oggi allogata nel duomo nuovo (fig. 6) 106. Rafforzò infine la matrice mariana del santuario l’indulgenza “ad instar Portiuncolae” che si acquistava facendo il periplo attorno alla grotta sanfrancescana “ad instar Alverniae”, incastonata nell’esedra 107. La fase mariana del santuario ebbe però breve vita, in quanto subentrò timidamente prima e quindi si affermò, facendo del tutto obliterare il culto mariano, il culto delle reliquie, che si è imposto a discapito delle precedenti funzioni, come sta a dimostrare la popolarità che ancor oggi gode San Valentino martire, il cui corpo santo occupa una posizione centrale rispetto alle altre reliquie. Mentre, dal punto di vista tipologico, il santuario di Monselice costituisce un interessante caso di trasferimento di sacralità, fondato sull’imitazione – mediante ricostruzione su modello del prototipo, da cui peraltro è stata prelevata una reliquia autentica – e sulla rappresentazione iconica del titolare del luogo sacro, che – secondo la cultura orientale – non solo lo rappresenta, ma lo rende anche presente.
Santuario a tutti gli effetti, ancorché dal difficile linguaggio simbolico, nelle ‘Sette chiese’ di Monselice confluiscono elementi propri del pellegrinaggio – il percorso per la visita alle chiese – e della montagna, simboleggiata dalla chiesa di San Giorgio che costituisce il vertice ideale del cammino, a sua volta metafora del pellegrinaggio della vita umana.
MENTRE ALMENO TRE I RUOLI SVOLTI: INIZIALMENTE SORSE COME SANTUARIO DINASTICO, PER L’AUTOCELEBRAZIONE FAMILIARE, UNA TIPOLOGIA SU CUI, FINORA, NON SI È PRESTATA LA DOVUTA ATTENZIONE; CI FU POI LA FASE MARIANA, PER CONFIGURARSI, DA ULTIMO, COME SANTUARIO LEGATO ALLE RELIQUIE. LA FASE INTERMEDIA È LA PIÙ INTERESSANTE, PER AVER DATO LUOGO A UN’ARCHITETTURA, SUPPORTATA DA ‘ICONE’, CHE AVEVA LO SCOPO DI RENDERE VISIBILE UN TRANSFERT DI SACRALITÀ, FACENDO COSÌ DEL SANTUARIO UN UNICUM.
NOTE al TESTO
91 G. DE LUCA, Introduzione alla storia della pietà, Roma 1962, pp. 25-26; si veda inoltre la lettera che De Luca scrisse a Prezzolini il 21 gennaio 1961, edita in G. DE LUCA – G. PREZZOLINI, Carteggio: 1907-1962, a cura di G. PREZZOLINI, Roma 1975, pp. 274-275.
92 I pellegrini che, negli anni santi, per lucrare l’indulgenza plenaria, dal 1373, erano tenuti a visitare, oltre alle basiliche di San Pietro, San Paolo e San Giovanni in Laterano, anche Santa Maria Maggiore (cfr. Bollario dell’Anno Santo. Documenti di indizione dal Giubileo del 1300, a cura di E. LORA, Bologna 1998, pp. 38-43), nel secolo XV avevano aggiunto, per propria devozione – alle quattro, dette maggiori –, altre basiliche. Di certo, nella seconda metà del secolo XV, era invalso l’uso di pellegrinare dal santuario mariano di Santa Maria ‘de Popolo’ a San Sebastiano. È quanto si apprende dalla seguente disposizione testamentaria dettata a Foligno, il 18 settembre 1481: “d. Elena uxor qn. Filippi ser Andree de Varinis de Fulgineo et sotietate crucis* Item, reliquit quod infr. Iohannes Mactias, eius filius et heres universalis […] teneatur et debeat fieri facere iter S. Sebbastiani de Urbe, cum hoc: quod ille qui accedet ad dictum iter faciendum, videlicet discedendo ab ecclesia S. Marie de Populo, debeat ire nudis pedibus, videlicet ad ecclesiam S. Sebbastiani usque ad altare maius prefate ecclesie S. Sebbastiani, teneatur ire genuflessum ac etiam visitari ecclesias maiores dicte Urbis civitatis”: ASF, Not., 36, Andrea di Feperliciano di Buono (1481-1483). Mentre un riprova della frequentazione, da parte dei pellegrini, della basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove si conserva la più importante reliquia della Croce, è l’incisione fatta, nel 1495, da Israel van Meckenem (1440-1503) dell’Imago pietatis, copia dell’icona-mosaico quivi venerata. Vi si legge: “Hec ymago contrefacta est ad instar et similitudinem illius prime imaginis pie/ tatis custodite in ecclesia S. Crucis in Urbe romana, quam fecerat de/pingi sanctissimus Gregorius papa Magnus, post habitam ac sibi ostensam desuper visionem / Israel v(an) M(eckenem)”: cfr. il catalogo di M. LEHR, Geschichte und kritischer Katalog der deutschen, niederländischen und französischen Kupferstiche im XV. Jahrhundert, n. 677, tav. 28; inoltre BELTING, L’arte e il suo pubblico…, cit., pp. 216 e 223. Il fatto che San Lorenzo diacono sia il protomartire di Roma spiega, infine, l’inserimento di questa chiesa nel pellegrinaggio devoto alle ‘Sette chiese’, devozione che si praticava già prima di San Filippo Neri, come attesta Marin Sanudo, uno degli oratori inviati da Venezia, nel 1522, a Roma, al neoeletto pontefice Adriano VI per fargli “obedientia”: detti oratori “andarono a 7 chiese dove sono le stazioni de devotioni belissime”: M. SANUDO, I diarii (1496-1533), a cura di R. DUFLIN et al., Venezia 1879-1902 (rist. anast. Bologna 1969), passo riferito da VALANDRO, Il monte sacro…, cit., p. 109. Stesse le basiliche, solo che l’ordine di successione e lo spirito del pellegrinaggio non sono quelli imposti dalla devozione filippina, di cui appresso.
93 Esercizi dell’Oratorio, Roma, Stamperia Pagliarini 1785, pp. 134 sgg. Su questa pia pratica vedi, inoltre, M. ARMELLINI, La visita alle Sette chiese e San Filippo Neri, Roma 1894; L.V. PASTOR, Storia dei papi, IX: Gregorio XIII (1572-1585), Roma 1925, p. 130; A. LAZZARINI – C. GASBARRI, La spettacolarità del ‘Gaudium’ e la visita filippina alle Sette chiese, Roma 1947; Il primo processo per San Filippo Neri, edito e annotato da G. INCISA DELLA ROCCHETTA e N. VIAN, con la collaborazione di C. GASBARRI, 4 voll., Città del Vaticano 1957-1963; A. VENTUROLI, San Filippo Neri. Vita, contesto storico e dimensione mariana, Casale Monferrato 1988, p. 116; Viaggio nell’Italia dell’anno santo. Giubileo 2000, a cura di G. MONETA, Torino 1999, pp. 121-123 (L’Itinerario di san Filippo Neri, con luogo di partenza, “Santa Maria in Vallicella, la Casa dei Filippini e la sede dell’Oratorio”, e prima visita alla basilica di San Pietro, che però nella gita-pellegrinaggio di San Filippo faceva da conclusione).
94 DUPRONT, Il sacro…, cit., p. 407.
95 Ecco quanto riferisce un contemporaneo del santo: “cominciò la visita alle chiese deputate andandovi sempre a piedi e alcune volte anche a piedi ignudi […] Oltre le chiese deputate per il Giubileo, visitò ancora tutte le altre dove era qualche segnalata reliquia o che sono in particolar devozione presso il popolo. Visitò similmente a piedi le Sette chiese più volte e quasi ogni giorno faceva genuflesso la scala santa”: il passo è riferito da P. BREZZI, Storia degli anni santi: da Bonifacio VIII al Giubileo del 2000, Milano 19972, pp. 96-97. Su questo pellegrinaggio da Milano a Roma, fatto tutto a piedi, impiegandovi tredici giorni, vedi inoltre G.D. GORDINI, Storie di pellegrini, di briganti e di anni santi, Torino 1974, p. 168, L. ZANZI, S. Carlo e l’età barocca, in L’Alto Milanese all’epoca di Carlo e Federico Borromeo. Società e territorio, Atti del Convegno di studi (Gallarate, 1984), Gallarate 1987, pp. 491 sgg.; ID., Metamorfosi dei pellegrinaggi dal’età medievale all’età moderna, in Medioevo in cammino. L’Europa dei pellegrini, Atti del Convegno internazionale di studi (Orta San Giulio, 1987), Orta San Giulio 1989, p. 183.
96 L.V. PASTOR, Storia dei papi, XI: Clemente VIII (1591-1605), Roma 1929, p. 516.
97 Cfr. Bollario dell’Anno Santo. Documenti di indizione dal Giubileo del 1300, cit., indice analitico, p. [32].
98 DUPRONT, Il sacro…, cit., p. 407.
99 M. FAGIOLO, La città delle basiliche, in Roma Sancta…, cit., pp. 266-268. Per l’incisione pubblicata nel 1575 cfr. supra, n. 17.
100 Un flash sulle ‘Sette chiese’ (le quattro giubilari più il percorso allargato, proposto da San Filippo Neri) in G. PALUMBO, Giubileo giubilei. Pellegrini e pellegrine, riti, santi, immagini per una storia dei sacri itinerari, con prefazione di S. BOESCH GAJANO, Roma 1999, pp. 174-191. BREZZI, Storia degli anni santi…, cit., p. 93, ricorda, per il giubileo del 1575, la visita alle ‘Sette chiese’: “pratica non nuova, ma allora ripristinata e, dopo qualche ostilità iniziale, molto apprezzata, diffusa e praticata anche dai pontefici”. Mentre non trovo ricordo di questa devozione filippina nella relazione di M. LOCONSOLE, Luoghi e liturgie della “Gerusalemme romana”, in L’Europa dei pellegrini, a cura di L. VACCARO, Milano 2004, pp. 83-104: dal titolo dell’intervento ci si sarebbe aspettati almeno la citazione di questa devozione, laddove ad esempio si illustra la basilica di Santa Maria Maggiore (pp. 94 sgg.).
101 I sette altari della basilica vaticana sono: la Madonna detta la Gregoriana, Santi Processo e Martiniano, San Michele Arcangelo, Santa Petronilla Vergine, Madonna della Colonna, Santi apostoli Simone e Giuda, San Gregorio Magno: A. LÉPICIER, Le indulgenze, Vicenza 1931, pp. 528-530.
102 S. MAGGIANI, Addolorata, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 3-16: 9. Altre devozioni settenarie, le “Sette angosce e allegrezze” e i “Sette mercoledì”, in onore di San Giuseppe: cfr. Direttorio su pietà popolare e liturgia, cit., p. 222.
103 Cfr. M. DEJONGHE, Roma santuario mariano, Bologna 1969, p. 251.
104 DUPRONT, Il sacro…, cit., pp. 400-402.
105 VALANDRO, Il monte sacro…, cit., p. 92, scrive che Mons. Marco Corner, nella visita pastorale effettuata a Monselice nel 1615, “registra compiute, con espressioni d’elogio per la bella forma, le sei chiesine e dichiara co-titolare dell’oratorio la Madonna di Loreto”.
106 L’ipotesi è che questa pala d’altare con soggetto lauretano, agli inizi del secolo XIX attestata nella chiesa di Santa Giustina, provenga dal santuario delle ‘Sette chiese’, così come il reliquiario: ambedue finiti tra gli arredi del duomo. La pala d’altare rappresenta, in primo piano, la Madonna di Loreto, statica, ma in atto di essere trasportata in cielo da quattro angeli; indossa l’abito rituale della dalmatica (veste di forma trapezoidale che ricopre il corpo per intero, dal collo ai piedi) e la corona, secondo l’iconografia che si affermò dopo la peste del 1498, manca però il tabernacolo marmoreo ad arco. Al racconto di fondazione del santuario – traslato da Nazareth a Loreto – si allude con la struttura della Santa Casa, al centro del dipinto e portata da due angeli, mentre in basso si vede la sponda italiana dell’Adriatico, meta del volo angelico; il tutto in scala minore, rispetto alle figure di primo piano. La pala, attualmente conservata nella cappella invernale del duomo nuovo di Monselice, nell’inventario, redatto nel 1815, dal canonico mansionario Giacomo Ferretto, viene registrata per la chiesa di Santa Giustina, suggerendo il nome di Palma il Giovane. Di recente, però, la tela è stata attribuita all’ambito della bottega dei Maganza: cfr. P.L. FANTELLI, Le cose più notabili riguardo alle belle arti che si trovano nel territorio di Padova, “Padova e la sua provincia”, 27 (1981), n. 4, pp. 21-23: 22 (anche G.A. MOSCHINI, Viaggio per l’antico territorio di Padova fatto da Gianantonio Moschini l’anno 1809 in traccia di monumenti alle persone di studio, a cura di P.L. FANTELLI, Padova 1993, p. 29); C. CESCHI, Chiese, conventi e monasteri: una rassegna del patrimonio artistico tra Settecento e Ottocento, in Monselice…, cit., pp. 565-593: 566, fig. 1, 568-569.
107 VALANDRO, Il monte sacro…, cit., pp. 87, 97.
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© 2024 a cura di Flaviano Rossetto
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